lunedì 31 maggio 2010

RIFLESSIONI

OGGI NEL MIO POST VOGLIO FARE UNA RIFLESSIONE
NON CREDEVO CHE LA GIORNATA DI IERI, PASSATA TRA PERSONE PRIVE DI SPESSORE MORALE E INTELLETTUALE, POTESSE PORTARE QUALCOSA DI BUONO
INVECE, C'E' SEMPRE DA IMPARARE E SEMPRE DA RIFLETTERE
LA MIA RIFLESSIONE DI OGGI E' TUTTA INCENTRATA SU ALCUNE SEMPLICI PAROLE, CARICHE PERO' DI SIGNIFICATO, ALMENO PER ME

RISPETTO
IGNORANZA
STUPIDITA'
PRESUNZIONE

TANTE SONO LE RIFLESSIONI

PARTIAMO DALLA PRIMA "RISPETTO": COSA SIGNIFICA RISPETTARE GLI ALTRI E, FACENDOLO, RISPETTARE ANCHE NOI STESSI
...PER ME SIGNIFICA AVERE IL CORAGGIO DEI PROPRI PENSIERI, E LA CAPACITA' DI ESPRIMERLI NEI MOMENTI E NEI LUOGHI PIU' INDICATI
APRIRE LA BOCCA E DARE FIATO ALLA VOCE? ...NON E' NEL MIO STILE
PROBABILMENTE QUESTO E' UN COMPORTAMENTO PROPRIO DI PERSONE
IGNORANTI, PIUTTOSTO STUPIDE E PRESUNTUOSE....

"IGNORANTI" PERCHE' IGNORANO LE PIU' SEMPLICI REGOLE DELLA BUONA EDUCAZIONE
"STUPIDE E PRESUNTUOSE" PERCHE' DOPO AVER ESPRESSO CONFUSAMENTE IL PROPRIO PENSIERO (COMPRENSIBILE TRA L'ALTRO SOLO PER LORO) NON HANNO LA CAPACITA' NE' DI FARSI COMPRENDERE, NE' DI SOSTENERE LE PROPRIE AFFERMAZIONI ... DISSE NICOLAS CHAMFORT- "CHE COSA DIVENTA UN PRESUNTUOSO PRIVO DELLA SUA PRESUNZIONE? PROVATE A LEVARE LE ALI AD UNA FARFALLA...NON RESTA CHE UN VERME"

DETTO QUESTO, BISOGNA SEMPRE TROVARE IL MODO DI NON FARSI TRASCINARE IN STERILI DISCUSSIONI, PROVOCATE DA PERSONE DI QUESTO TIPO E RISPONDERE PACATAMENTE E CON PRECISIONE ALLE RIMOSTRANZE DI CHICCHESIA. DOPODICHE', IL MIO PAPA' DICEVA SEMPRE "NON TI CURAR DI LORO, MA GUARDA E PASSA"*




LA GIOVENTU' INVECCHIA...L'IGNORANZA PUO' DIVENTARE ISTRUZIONE...L'UBRIACHEZZA SOBRIETA'...L'INCOSCIENZA SI PERDE VIA VIA..MA LA STUPIDITA' QUELLA RIMANE PER SEMPRE...Aristofane




*(Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa - Divina Commedia - Inferno - Canto III - Dante Alighieri)

lunedì 24 maggio 2010

ANIMA FRAGILE...



E tu
chissà dove sei
anima fragile
che mi ascoltavi immobile
ma senza ridere.
E ora tu chissà
chissà dove sei
avrai trovato amore
o come me, cerchi soltanto d'avventure
perché non vuoi più piangere!
E la vita continua
anche senza di noi
che siamo lontano ormai
da tutte quelle situazioni che ci univano
da tutte quelle piccole emozioni che bastavano
da tutte quelle situazioni che non tornano mai!
Perché col tempo cambia tutto lo sai
cambiamo anche noi
e cambiamo anche noi
e cambiamo anche noi!
e cambiamo anche noi!

venerdì 21 maggio 2010

DEDICATO A ...



La morte non è niente. Sono solamente passato dall'altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.

Io sono sempre io e tu sei sempre tu.

Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.

Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.

Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste.

Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.

Prega, sorridi, pensami!

Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.

Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente,
solo perché sono fuori dalla tua vista?

Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.

Rassicurati, va tutto bene.

Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.

(Sant'Agostino)

PER TE


("Amore e Psiche" -Canova*)

“Se parlassi le lingue degli uomini
e anche quelle degli angeli,
ma non avessi l’Amore,
sarei come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.

E se anche avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri,
se possedessi tutta la scienza
e una fede così forte da trasportare le montagne,
ma non avessi l’Amore, non sarei nulla.

E se anche distribuissi tutti i miei averi ai poveri
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l’Amore, non mi servirebbe a nulla.

L’Amore è paziente e generoso.
L’Amore non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio.

L’Amore è rispettoso,
non cerca il proprio interesse,
non cede alla collera, dimentica i torti.

L’Amore non gode dell’ingiustizia, la verità è il suo fine e la sua gioia.

L’Amore tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza.

L’Amore non avrà mai fine.
Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.
La scienza è imperfetta, la profezia limitata,
ma verrà ciò che è perfetto ed esse scompariranno.

Tre sole cose dunque rimangono:
la fede, la speranza e l’Amore.
Ma più grande di tutte è l’Amore.”


(Paolo di Tarso - Inno all’Amore)



*(tratto da Wikipedia - L'Enciclopedia Libera - Amore e Psiche è un gruppo scultoreo realizzato da Antonio Canova nel 1788 (e terminata nel 1793), esposta al Museo del Louvre a Parigi. Ne esiste una seconda versione (1800-1803) conservata all'Ermitage di San Pietroburgo in cui i due personaggi sono raffigurati in piedi e una terza (1796-1800), sempre esposta al Louvre, in cui la coppia è stante. Delle tre versioni, la prima, cronologicamente parlando, è la più famosa e acclamata dalla critica. L'opera rappresenta, con un erotismo sottile e raffinato, il dio Amore mentre contempla con tenerezza il volto della fanciulla amata, ricambiato da Psiche da una dolcezza di pari intensità. L'opera rispetta i canoni dell'estetica winckelmanniana, infatti le figure sono rappresentate nell'atto subito precedente al bacio, un momento carico di tensione, ma privo dello sconvolgimento emotivo che l'atto stesso del baciarsi provocherebbe nello spettatore. Questo è il momento di equilibrio, dove si coglie quel momento di amoroso incanto tra la tenerezza dello smarrirsi negli occhi dell'altro e la carnalità dell'atto. Le due figure si intersecano tra di loro formando una X morbida e sinuosa che dà luogo ad un'opera che vibra nello spazio...)

giovedì 20 maggio 2010

ODISSEA...-2

LO SO ... IL POST CHE PRECEDE E' UN PO' LUNGHETTO...MA E' UNA STORIA MOLTO BELLA

SPESSO MI CHIEDO QUANTA FORZA DI VOLONTA' C'E' IN OGNUNO DI NOI E SE CIO' CHE DOBBIAMO INSEGUIRE E PER IL QUALE DOBBIAMO PERSEVERARE E' SOLO QUELLO CHE "E' POSSIBILE OTTENERE"

IN UN MONDO IN CUI TUTTO SEMBRA CORROTTO, DIFFICILE, IRRAGGIUNGIBILE, CREDO CHE SOLO LA PASSIONE PER CIO' CHE AMIAMO PUO' SPINGERCI OLTRE. SOLO ALLORA LA FORZA DI VOLONTA' CI PUO' SORREGGERE E CONFORTARE.
IL MONDO E LA NOSTRA VITA POSSONO ESSERE MIGLIORI SOLO SE INIZIAMO A GUARDARCI DENTRO E A TROVARE LE NOSTRE PASSIONI E LOTTARE PER QUESTE, A PRESCINDERE SE SI POSSANO REALIZZARE....



Un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo. (Lao Tzu)

ODISSEA...

ODISSEA DI UN ASPIRANTE UDITORE

La breve storia di un giovane idealista che voleva fare il magistrato tanti anni fa in un paese lontano*, narrata da un quisque de populo.

“ Un pessimista vede una difficoltà in ogni occasione, un ottimista vede un’occasione in ogni difficoltà”

( W. CHURCHILL )

ITACA era bellissima.

Conquistarla non era stato facile: c’erano voluti una laurea e ben quattro lunghi anni fatti di sigarette notturne(il caffè non gli era mai piaciuto),di barba incolta e capelli untuosi, di serate con gli amici mancate, di estati durate talvolta da San Lorenzo a Ferragosto.

D’ora in poi avrebbe potuto godersi un po’ di più la vita, andare in giro a ricevere i classici “auguri esimio Dottore” senza nemmeno chiedersi fino a che punto fossero stati sinceri, nonchè i sorrisi degli amici dei suoi genitori, quelli che fino ad un mese prima non si ricordavano mai il suo nome, guardandolo dall’alto in basso ed ora invece con una pacca sulla spalla gli dicevano: “ caro, ma diamoci del tu, no?”

Almeno per due o tre anni se ne sarebbe stato tranquillo, infilato in uno Studio legale con la targa in ottone più o meno splendente (in base a come il padre poteva o sapeva muoversi) a giocare a fare l’avvocato esplorando Cancellerie e spulciando Formulari; ed agli amici, quando magari non gli andava di uscire con loro avrebbe detto: “ragazzi mi dispiace, domani ho un’udienza importante” e qualcuno avrebbe davvero creduto che se non c’era lui lo Studio non avrebbe potuto aprire i battenti!

Sarebbe entrato sempre a testa alta nel Foro, certo da segugio perchè anche questo serviva per imparare il mestiere, ma, soprattutto, la mattina avrebbe potuto uscire di casa insieme a suo padre (che,ormai dopo la laurea era pronto ad elargirgli soldi in ogni maniera) e, vedendolo talvolta meno elegante e leccato di lui, che indossava il classico abito grigio con cravatta ovviamente scoordinata ed aveva con sé l’immancabile borsa di pelle griffata e piena di tutto ciò che non serviva per fare l’avvocato, avrebbe avuto l’illusione di lavorare per davvero.

Ma ad Ulisse tutto ciò importava poco e non solo perché aveva seguito sin da piccolo le gesta di alcuni martiri per lo Stato (eroi borghesi li aveva definiti qualcuno), soprattutto di un certo “giudice ragazzino” chissà perchè meno celebrato e meno ricordato di altri, ma anche perché aveva spesso in mente una frase letta da qualche parte che diceva pressappoco: “fatti non fummo per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza!”.

Fu così che, dopo un po’ di vita da avvocato (molto poca per la verità) egli si imbarcò in un nuovo viaggio, lungo e periglioso, in un mare aspro ed ostile...il viaggio verso la Magistratura.

Dalla sua parte aveva grinta, entusiasmo e forse un pizzico di capacità (questo non è dato saperlo); la sua nave avrebbe avuto come timone e guida il Diritto che egli non aveva mai tradito e che spesso aveva preferito finanche alle relazioni sociali, senza mai stancarsi di conoscerlo e studiarlo: “quanto più diventerò bravo a condurre il Diritto, a conoscerne meccanismi, pregi e difetti- pensava - tanto più il viaggio verso la magistratura sarà breve e agevole”.

Povero giovane Ulisse, voleva raggiungere le COLONNE D’ERCOLE ma quante difficoltà ancora non conosceva e quanti contrattempi non aveva previsto!!

In primis PENELOPE…ella di certo non era contenta di seguitare a vederlo poco, di sentirlo spesso lontano e assorto in tutt’altri pensieri, di continuare a ricevere da lui i soliti miseri regali da studente.

PENELOPE sapeva che “a fare l’avvocato si guadagna bene anche con gli incidenti stradali” e allora perché lui avrebbe dovuto continuare a sprecare tempo e fatica su quei libracci, tanto all’esame da avvocato “una spinta la troveresti no?” invece per entrare in Magistratura “tuo padre non potrebbe fare molto, al massimo si può chiedere al cugino di mio cognato che è cancelliere del Giudice di Pace Tal dei Tali se conosce qualcuno in alto”.

Ella gli parlava, ma Ulisse non la ascoltava minimamente..era già assorto in altri dubbi, stava decidendo la rotta da prendere per il viaggio ( e di possibili ce n’erano tante!), i libri da portare con sé o da acquistare, voleva imparare ad aggiornarsi su nuove leggi e sentenze.

Non provò nemmeno a controbattere, tanto sapeva che lei non avrebbe capito, nonostante gli volesse bene.

La madre di Ulisse invece accettò la sua partenza verso le COLONNE D’ERCOLE di buon grado…non c’aveva mai capito molto delle cose che lui studiava (pur essendo ben erudita) ma in fondo, pensò, “un figlio magistrato non capita a tutti e poi lui è giovane, è in tempo per fare tutto quello che vuole nella vita”; era una donna buona e saggia, se solo si fosse dedicata un po’ più a se stessa e meno agli altri avrebbe fatto cose ancora più grandi di quelle che già faceva nella sua vita.

Il padre si era sempre fidato di lui…non avevano mai parlato tanto tra di loro ma si erano comunque capiti.

Ulisse ormai sapeva di essere diverso da lui, e pian piano si stava convincendo di non essergli nemmeno inferiore.

Tutti dovrebbero avere dei genitori così al giorno d’oggi e non è facile che accada.

Arrivò dunque il giorno della partenza e Ulisse, solo con la sua nave mentre vedeva la sua ITACA che si allontanava, aveva in testa sempre più dubbi: quanto sarebbe durato il viaggio? Come avrebbero le nuove battaglie alle quali andava incontro cambiato il suo studio e di conseguenza il suo modo di pensare, di vedere le cose? Fino a che punto era pronto a mettersi in discussione? Sarebbe riuscito a sopportare i consigli ottusi di chi gli diceva : “magistrato??E che guadagni?Visto che vuoi farti il mazzo, prova qualcosa di più redditizio no!”?.

Sentiva che stava andando lontano, e che per il momento tutte le sue domande sarebbero rimaste senza risposta.

Temeva poi per PENELOPE…ITACA non era più tranquilla come un tempo.

Pare stessero arrivando li un gruppo di giovani chiamati PROCI, senza scrupoli: alcuni di essi avevano in tasca tanti denari (non certo guadagnati da loro) ed erano pronti a tutto pur di vincere le loro sporche battaglie; per loro Itaca era un punto d’arrivo e non di partenza, per averla avevano imbrogliato, pagato, leccato ecc.

Apparentemente questi PROCI erano colleghi di Ulisse, gli sorridevano e gli facevano l’inchino quando lo incontravano ma non lo sopportavano e non perdevano occasione, nelle rare occasioni in cui egli si recava spaesato in Tribunale, per deriderlo e mostrarsi i padroni del Foro.

Sarebbe riuscita PENELOPE a resistere alle loro tentazioni?Avrebbe capito quanto erano diversi i loro sentimenti rispetto ai suoi?E come avrebbe potuto lui, che vagava per mare, così lontano , contrastarli?

Ormai però era notte fonda e gli occhi del giovane Ulisse, appesantiti, si chiusero nella notte senza luna con la dolce complicità di Morfeo, non prima però che il giovane avesse fumato un buon sigaro, piacere nuovo che stava iniziando a concedersi e che presto avrebbe scoperto comune ad altri naviganti.

Dormì per parecchio tempo e fece molti sogni anche bizzarri.

Sembra addirittura che in quel silenzio, nel mare nero come la pece giunsero alle sue orecchie celestiali voci femminili, che egli complice il sonno ancora profondo non riuscì per fortuna a cogliere…purtroppo per lui un giorno le avrebbe rincontrate.

Quando si destò il sole era ormai alto, incastonato nel mezzo di un cielo azzurro e splendente.

Scese a terra e capì di essere giunto nella città eterna( solo lì il cielo è cosi radiosamente blu); si sentì subito a casa…era quella la culla del Diritto ( secondo alcuni lo è tutt’ora) e forse anche per questo aveva scelto di farne la prima tappa del suo viaggio, prima di prendere qualsiasi altra decisione.

Mentre vagava, ancora un po’ frastornato, tra colonne di travertino, fontane scroscianti e piazze dalla bellezza disarmante, si rese conto che accanto a lui mischiati tra una folla cosmopolita e chiassosa, c’erano uomini e donne che gli sembravano più familiari rispetto al resto della gente.

Qualcuno era più grande di lui e qualcuno più bello ma tutti avevano, scolpita negli occhi, l’immagine delle COLONNE D’ERCOLE e bastava guardarli un pò per comprendere quanto ci tenessero a raggiungerle.

Ad Ulisse non ci volle molto per avvicinarli e fare la loro conoscenza…in fondo era sempre stato un ragazzo socievole, anche se il tempo e le vicende della vita lo avevano reso più diffidente e meno generoso nei confronti del suo prossimo.

Fu colpito in particolar modo da un aspirante uditore che gli pareva avesse pressappoco la sua età; costui, seduto su un blocco di pietra, fissava gli altri con sguardo profondo e perplesso e aveva spesso la fronte corrucciata e le sopracciglia inarcate in modo innaturale, tenendosi spesso il mento con la mano destra, ma quando qualcuno gli si avvicinava per salutarlo riusciva ad abbozzare un sorriso enorme e radioso, per poi tornare dopo un attimo alla sua espressione pensierosa.

Incuriosito da tutto ciò, Ulisse gli sorrise a sua volta e, con sua grande sorpresa notò che il misterioso personaggio si era alzato e gli si stava avvicinando mentre camminava un po’ ingobbito e con le mani incrociate dietro la schiena (più o meno come sono soliti camminare gli anziani).

“Chi sei navigante!?”- gridò con voce ferma Ulisse-“e perché sei così pensieroso?”.

“Mi chiamo DIOMEDE e vengo dal Salento”-rispose quello-“Si vede che sei all’inizio del viaggio…vedrai che presto lo sarai pure tu”-continuò.

“Io pensieroso lo sono già…anche se lo do a vedere meno di te!!”- replicò indispettito Ulisse.

“Allora, oltre che inesperto sei anche inquisitorio..sei davvero sicuro di voler fare il magistrato?”- continuò DIOMEDE.

Ulisse a quel punto si stava davvero innervosendo e i due continuarono a punzecchiarsi dialetticamente per ore, ribattendo colpo su colpo, finchè non rimasero soli con il sole in procinto di tramontare.

A quel punto DIOMEDE, stanco e provato dopo tutto quell’argomentare, sfoderò il solito sorriso e tendendo la mano verso l’altro disse: “Non sei tanto male sai? Meglio così. Andiamo và, che ti offro da bere!”

Ulisse indugiò un attimo, ma poi sorrise anch’egli e strinse forte la mano di DIOMEDE….aveva trovato un grande amico, prima ancora che un validissimo collega.

I due da quel giorno navigarono fianco a fianco e girarono la Capitale in lungo e in largo, attraversando parchi verdissimi e sotto lo sguardo di statue maestose parlarono per ore ed ore di Donne & Diritto e bevvero vino fumando sigari a volte puzzolenti, a volte aromatici, quasi a ricordare Leopold Bloom e Stephen Dedalus nella loro giornata in giro per le fumose strade di Dublino*; così Ulisse riuscì un po’ a distrarsi dai suoi tanti pensieri ed ebbe modo di sapere molte cose su come raggiungere le COLONNE D’ERCOLE che prima non avrebbe nemmeno immaginato.

Innanzitutto apprese che, a differenza di quello che molti comunemente pensavano, le COLONNE D’ERCOLE erano raggiungibili solo in determinati periodi non prevedibili dell’anno nei quali gli astri si trovavano in posizione favorevole; erano gli DEI a stabilire questi periodi, e lo facevano attraverso dei Concorsi i quali venivano annunciati a tutti i potenziali naviganti attraverso un Pubblico Bando.

DIOMEDE gli disse poi che circa tre anni prima era stata emanata una legge che aveva previsto tre Concorsi ravvicinati per reclutare un migliaio di nuovi Magistrati in modo da coprire almeno in parte la spaventosa carenza di organico da molti considerata una delle cause dei mali della giustizia di allora.

Tuttavia le cose non erano andate proprio così e fino a quel momento era stato bandito un solo Concorso che ancora doveva essere portato a termine, e dunque ancora nessuno aveva potuto raggiungere le sospirate COLONNE e di conseguenza nessun nuovo uditore aveva calcato le aule di giustizia.

Ulisse non comprendeva bene il perché di questa situazione, ma un navigante più esperto, che aveva sul viso i segni di tante battaglie giuridiche ed aveva sentito i discorsi dei due, glielo spiegò: “pare- disse costui- che NETTUNO, uno degli Dei più importanti dell’Olimpo, secondo solo a ZEUS (il quale però, in qualità di garante della Costituzione aveva all’epoca purtroppo solo poteri di rappresentanza e di esternazione) per importanza, ce l’abbia a morte con gli aspiranti uditori perché li considera mentalmente disturbati ed antropologicamente diversi dal resto dell’umanità. Perciò costui, tra le righe del suo mirabolante programma di Governo ha inserito una clausola implicita, MENO TOGHE PER TUTTI!, anche perché sembra che qualche giudice troppo zelante negli ultimi anni abbia turbato i suoi sonni”.

Eh già, NETTUNO era proprio adirato ed aveva deciso di affidare la concreta realizzazione di questo suo obiettivo ad un suo figlio illegittimo: il gigante leghista POLIFEMO, che per la sua mole pare fosse bravissimo a costruire edifici e macchinari ma che il Diritto in vita sua prima di allora non l’aveva mai visto da quell’unico occhio color verde-padania di cui era dotato.

POLIFEMO doveva rimanersene sempre nella sua caverna, in via Arenula, a bloccare sul nascere con qualche scusa ogni iniziativa per giungere ad un’eventuale futuro Concorso e, nel frattempo, ne avrebbe magari approfittato per promuovere qualche modifica qua e là all’ Ordinamento giudiziario e a qualche scomoda legge penale…ma questa è un’altra storia.

Alcuni naviganti avevano provato ad avvicinare POLIFEMO per parlare con lui, ma si diceva che avessero fatto tutti una brutta fine perché il gigante non aveva affatto un bel carattere!

Si poteva solo sperare che il ciclope, in un momento di debolezza magari causato da qualche grappino di troppo bevuto ad un raduno leghista, avrebbe firmato quel Bando che da tanto giaceva impolverato sulla sua scrivania e del quale probabilmente ignorava ogni significato…forse egli non conosceva neppure l’esistenza delle COLONNE D’ERCOLE.

Ulisse egoisticamente pensò che a lui, da così poco tempo in viaggio, un po’ di tempo in più per erudirsi avrebbe fatto comodo ma non poteva non comprendere le ragioni di tanti altri naviganti che ormai naufragavano da anni in cerca neppure della meta, ma almeno di un’altra occasione per provare a raggiungerla!

Ma i problemi e gli ostacoli non erano certo solo NETTUNO e POLIFEMO…molti aspiranti uditori pare avessero trovato sulla loro strada una maga potentissima e molto tentatrice, di nome CIRCE.

Ella, capace di assumere le più disparate sembianze, era riuscita a far credere a tali naviganti che, sborsando un bel po’ di soldi e con in tasca un bel MASTER in non si sa bene cosa sarebbero riusciti a diventare ciò che volevano nella vita, magari anche magistrati, avvocati e notai tutti in una volta, in un colpo solo!

Per pagare questi MASTER i padri avevano fatto mutui e ipotecato case, venduto i gioielli di famiglia, prosciugato i conti in banca…che disgrazia!

Lunghi stages all’estero, corsi di informatica tibetana e di gestione dell’acqua del mare, il tutto per trovarsi alla fine in mano un pezzo di carta come tanti altri e con le aziende che se la ridevano sotto i baffi, dato che sapevano bene che i MASTER nelle materie giuridiche (a differenza che in altre discipline) erano praticamente inutili e, soprattutto, non fornivano alcun aiuto per il superamento del Concorso.

Alcuni di questi ragazzi, per la disperazione, erano impazziti o addirittura si erano trasformati in porci..maledetta CIRCE!

E poi c’era CALIPSO, la bellissima Ninfa Accademica che aveva trattenuto aspiranti uditori sulla sua isola universitaria anche per 7 anni rendendoli suoi schiavi…ma forse sarebbe meglio dire suoi ASSISTENTI.

Essi erano rimasti incantati dalla bellezza di una vita fatta di colloqui in giacca e cravatta con studentesse scollate, di esami affrontati dalla parte del plotone di esecuzione (anche se, di solito, a tenere penne e registri), di chiamate dei conoscenti più lontani che chiedevano loro favori di ogni genere.

Sentendosi chiamare cultori della materia gli sembrava di conoscere il Diritto più di ogni altro, perciò abbandonavano ogni genere di studio e dimenticavano le cose che già sapevano, riducendosi al più bieco nozionismo e divenendo nemici dell’argomentazione.

Erano nutriti con i cibi migliori e dissetati con bevande dolcissime, che profumavano di dottorato( ma il profumo, si sa, molto spesso non corrisponde alla realtà), ed essi erano così tanto inebriati che divenivano ,verso CALIPSO e tanti altri (purtroppo ve ne erano tanti) semi-dei accademici come lei, servizievoli e riverenti forse più di quanto quei PROCI che Ulisse ben conosceva lo fossero nei confronti dei loro padroni avvocati.

Nelle occasioni di festa ai più meritevoli( in base ai criteri suddetti) CALIPSO talvolta concedeva il più grande dei piaceri….interrogare qualche malcapitato studente agli esami!!

Era questo, per gli ASSISTENTI, il gioco più divertente… non c’erano regole né criteri, non c’era correttezza né comprensione…l’unico obiettivo da raggiungere era umiliare, calpestare, deridere e,soprattutto cercare di ascoltare ciò che dicevano gli studenti il meno possibile.

Vinceva chi bocciava di più, e a parità di bocciature chi era riuscito a far piangere più persone…gli antichi avevano proprio modi strani di giocare…anche in questo essi erano molto diversi dagli uomini di oggi.

Confuso ed impaurito per tutto ciò che aveva sentito, Ulisse insieme al suo nuovo compagno d’avventura (che purtroppo sapeva essere tale solo fino ad un certo punto poiché il viaggio verso le COLONNE D’ERCOLE sostanzialmente andava affrontato in solitario) decise di andare ad interpellare TIRESIA, un indovino napoletano che, tra i tanti, era considerato il più esperto per guidare gli aspiranti uditori nel loro viaggio, anche perchè egli era solito emettere le sue profezie nella capitale e DIOMEDE conosceva la strada per raggiungerlo…bisognava solo portargli in dono un grosso ariete vivo, che la sua consorte avrebbe provveduto in seguito a sacrificare.

Per interpellarlo i giovani scesero nelle buie profondità di un grande anfiteatro asfittico e dal nome regale, ma lì con loro grande sorpresa trovarono centinaia di altri naviganti anch’essi in attesa di delucidazioni da TIRESIA.

Anche tra questi ragazzi ne conobbero tanti in gamba e condivisero i loro pensieri e le loro conoscenze; la comunanza di interessi e di stati d’animo portava infatti i giovani naviganti di allora ad instaurare legami intensi e sinceri tra loro, anche se al di fuori di quel contesto non sapevano molto gli uni degli altri…non tutti però erano così.

Ve ne erano parecchi, riconoscibili dall’abbigliamento malinconico e da quell’espressione un po’ spocchiosa che ne contraddistingueva il viso, per i quali il Concorso per Uditori Giudiziari non era un sogno ma una necessità, un’ossessione.

Erano ragazzi che, per varie ragioni, nella loro vita non avevano fatto altro che studiare e probabilmente non avrebbero potuto fare altro che studiare: il loro sentimento per il Diritto non era amore, passione….. solo abitudine.

Per questi naviganti raggiungere le COLONNE D’ERCOLE costituiva quasi una scelta obbligata, e per intraprendere il viaggio non avevano dovuto rinunciare ad una vita alternativa, dal momento che non l’avevano mai avuta.

Ulisse li osservò a lungo, provò invano a comunicare con loro ma li sentiva distanti; lui così passionale, talvolta quasi guascone, che aveva sempre vissuto il mondo in tutte le sue manifestazioni di vita e che era capace di emozionarsi allo stesso modo per un’argomentazione di CAPOZZI (che, a quanto oggi risulta, era un indovino forse ancor più esperto di TIRESIA del quale era stato il maestro, ma a cui non piaceva pubblicare i suoi responsi, salvo essere tradito da alcuni discepoli in vecchiaia), per un tramonto sulla Capitale visto dal Pincio o alla vista del primo fiocco di neve danzante nella gelida aria invernale, lui a cui veniva spontaneo prodursi in citazioni giuridiche durante una festa danzereccia così come fare una battuta di spirito durante un’udienza in Tribunale o una prova d’esame, non riusciva a comprendere quelle menti strutturate quasi a compartimenti stagni e così lontane dalla realtà, pur sapendo che molte di esse si sarebbero comunque tramutate in bravi e stimati magistrati…era fatto così.

Ad un certo punto nel mezzo di tutte queste conversazioni e riflessioni, comparve sulla scena TIRESIA…era un personaggio davvero singolare: magro e con indosso lunghe camice e pantaloni color pastello (cui spesso facevano da pendant maglioni a righe orizzontali dai colori bizzarri), aveva la pelle scura ed un pò incartapecorita quasi come quella di un vecchio marinaio, la sua andatura era dinoccolata ed il suo viso (reso inconfondibile dal Toscanello in bocca che fumava sempre) ricordava le maschere napoletane della commedia dell’arte; probabilmente, se qualche disegnatore odierno avesse potuto vederlo ne avrebbe fatto il protagonista di qualche collana di fumetti di successo.

Si sedette in una posizione strana e contorta e senza indugiare oltre cominciò a parlare di Diritto per ore ed ore e non si fermò mai!

Ascoltarlo era davvero un piacere, riusciva a sostenere le tesi più ardite e successivamente utilizzando le medesime argomentazioni le smentiva con facilità, portando le menti di Ulisse e degli altri naviganti a volare tra gli istituti più disparati, superando i confini tra diritto civile, penale ed amministrativo.

I suoi monologhi giuridici durarono per mesi e mesi (in cambio sempre di cospicui doni votivi da parte di tutti i ragazzi) durante i quali sottopose i giovani aspiranti ad ogni genere di enigmi, temi ed indovinelli, riuscendo sempre a trovare problemi giuridici nuovi e complessi nonché a dare soluzioni alle quali i ragazzi non erano arrivati, nonostante il loro lodevole impegno argomentativo

Grazie a questo duro allenamento la mente di Ulisse iniziò a conoscere a fondo ogni branca del Diritto acquisendo grande elasticità mentale, requisito senz’altro indispensabile per continuare ad affrontare degnamente il viaggio e da custodire gelosamente perché era facilissimo perderla.

Tuttavia TIRESIA, da buon indovino, anche se sapeva la strada per le COLONNE D’ERCOLE spesso si esprimeva in modo sibillino riguardo al Concorso e solo se lo si conosceva bene si potevano cogliere indicazioni preziose tra le righe dei suoi mille discorsi.

Ad Ulisse, DIOMEDE ed i loro amici ciò non sempre era concesso, anche perché purtroppo essi non conoscevano bene il napoletano….

Anche per questo molti naviganti, stanchi di aspettare e sacrificarsi invano, pian piano decidevano di fare ritorno alle loro navi e da lì alle loro case: alcuni dicevano che presto sarebbero tornati, più forti e determinati di prima, ma quasi sempre sparirono definitivamente; altri decisero di interpellare altri indovini, perché dicevano che TIRESIA era troppo vecchio (anche se nessuno sapeva con certezza quanti anni avesse) o troppo avido; altri infine con sincerità senz’altro apprezzabile gettarono del tutto la spugna e tornarono strisciando negli Studi che tempo addietro avevano abbandonato o snobbato, scoprendo di colpo una rinata passione per l’avvocatura.

Ulisse teneva duro, e non era affatto facile… la sua nave era scomoda e spesso sporca (ben diversa da casa sua), dormiva male e non riusciva a studiare sempre serenamente e i buoni risultati che talvolta otteneva alle esercitazioni diabolicamente ideate da TIRESIA cominciavano a non bastargli più.

C’erano giorni in cui si sentiva pronto ad affrontare il viaggio e a vincere ogni sfida, ma spesso era vittima di momenti di buio pesto, si sentiva sperduto e piccolo di fronte ad un muro del quale riusciva a malapena a vedere le fondamenta.

Il Diritto poi diveniva sempre più complesso, problematico…nemmeno nelle parole di TIRESIA e sui tanti testi dei quali ormai era in possesso riusciva sempre a trovare le risposte che cercava.

Del resto, i tanti mesi passati senza PENELOPE iniziavano a far sentire il loro peso, nell’animo di un giovane che, come quello di tanti suoi coetanei di oggi, non riusciva talvolta a non tendere ad una spensieratezza ormai perduta e a non cercare l’amore di una donna.

DIOMEDE navigava con lui sempre più di rado, anche se i due erano sempre in contatto tra di loro; cercavano di darsi coraggio a vicenda e spesso ci riuscivano ma, paradossalmente, quando erano insieme avvertivano forse più del solito uno strano senso di distacco dal mondo che li circondava e che continuava a correre sempre più veloce, sempre più indifferente nei confronti del loro viaggio.

Questo tipo di studi e l’approccio problematico alla realtà proposto da TIRESIA rischiavano di far smarrire ai giovani il senso delle cose, inducendoli a mettere in dubbio tutto o quasi facesse parte della loro vita o comunque li circondasse; per fortuna non era sempre così e a volte essi riuscivano a tuffarsi nuovamente tra le mille caotiche sfaccettature della vita…bastava infatti cantare a squarciagola una bella canzone, comperare un vestito che magari desiderava da tempo, fare una intensa partita a tennis…bastavano due occhi grandi e scuri dolcemente incrociati durante una lezione di Diritto o ad una fermata dei mezzi pubblici della Capitale di quel tempo per far tornare Ulisse a sentirsi vivo come una volta, uomo in mezzo agli uomini!

Talvolta erano soliti recarsi a meditare navigando nel fiume STIGE fino ad un grande palazzo di eburneo travertino situato sulle sue rive, che per questa sua vicinanza con tali acque sacre e temute era stato soprannominato dagli abitanti della Capitale il “PALAZZACCIO”, e che era la sede dei veri padroni del Diritto di allora, uomini tra i più saggi e stimati dal paese, ma costretti per tutelare la loro imparzialità (fondamentale ai fini della delicata funzione nomofilattica da essi svolta) a restare sempre rinchiusi tra quelle quattro mura maestose ed austere senza avere rapporti sociali con il resto delle persone sulle cui sorti erano chiamati a giudicare.

E la loro condizione era ancora peggiorata da quando essi si erano inimicati anche molti DEI e soprattutto NETTUNO, del quale pare non avessero condiviso alcuni “LEGITTIMI SOSPETTI”………….

Essi vivevano dunque lì, ma gli ingrati cittadini dell’epoca spesso si dimenticavano di loro e talvolta deridevano la loro indole pacata ed equilibrata, così lontana dalle pulsioni negative tipiche di un essere imperfetto come l’uomo; non Ulisse e DIOMEDE, i quali invece consideravano questi saggi dei modelli della loro vita se non presente quantomeno futura e che avrebbero tanto voluto avvicinarli e parlare con essi…ma ciò non era quasi mai concesso loro.

Anche molti altri aspiranti uditori si recavano al PALAZZACCIO per poter consultare il grande numero di riviste conservato nel suo archivio giuridico, non per diletto però ma poiché le ritenevano utili ai fini del loro studio….ma davvero è più utile ricopiare e fare incetta acriticamente di testi che danno già tutte le soluzioni ai problemi e che “informano ma non formano”* piuttosto che provare da soli, con le proprie conoscenze e la propria capacità argomentativa, ad arrivare ad elaborare soluzioni comunque sostenibili, anche se non condivise dai dotti?

E’ codesto un interrogativo sul quale anche gli attuali aspiranti giuristi dovrebbero, mutatis mutandis, riflettere molto….

La cosa che più appagava Ulisse e Diomede (i quali non sempre consultavano l’archivio) quando si recavano al PALAZZACCIO era invece sostare ai piedi della sua maestosa scalinata di ingresso ( quasi che sentissero che per loro, che non avevano superato le COLONNE D’ERCOLE, non fosse ancora giunto il momento di entrarvi), contemplando mentre gustavano un buon sigaro le statue di alcuni grandi giuristi ormai non più del mondo dei vivi, che erano state poste li forse come monito per le future generazioni.

Non si sa bene perché, ma questi giuristi erano raffigurati tutti malinconici e meditabondi, quasi come se stessero affrontando una complessa e controversa questione giuridica che non riuscivano a risolvere; il più accigliato di tutti pareva senz’altro il grande SALVIO GIULIANO, che non a caso era il preferito dai due giovani.

Ad Ulisse, ogni volta che la guardava, quella statua sembrava sempre più pensierosa…e se davvero così fosse stato ne avrebbe avuto ben donde!!

Difatti molte altre nubi nere e minacciose si stavano addensando sul cammino dei poveri naviganti (che, per la verità sereno non lo era mai stato): nubi fatte di separazione delle carriere, di rigidi e nuovi criteri di accesso al Concorso in Magistratura in spregio alle norme costituzionali ma rispondenti solo alla logica degli ammortizzatori sociali, di vecchi Concorsi ammorbati da irregolarità ecc.ecc.

Ulisse sentiva ITACA sempre più lontana al punto di non sapere se l’avrebbe più rivista, se quella sudata laurea gli sarebbe più servita a qualcosa, visto che la sua meta, le COLONNE D’ERCOLE, gli sembrava allora più che mai irraggiungibile….ma ancora riusciva a resistere alla tentazione di abbandonare tutto, di tornarci, pur non sapendo bene per che cosa continuava a lottare.

Ma, come se tutto ciò non bastasse, stava andando incontro all’ostacolo forse più duro da lui affrontato fino a quel punto del viaggio…le SIRENE SSPL.

Questi strani esseri, per metà universitari e per l’altra metà non si sa bene cosa, erano stati creati pochi anni prima da alcuni DEI che poi erano stati scacciati dall’OLIMPO, con l’intento di dare una guida pratica sul campo ai tanti laureati “in attesa di giudizio” la quale rimediasse ai pasticci creati dall’allora troppo teorica facoltà di Giurisprudenza.

Ma le SSPL ben presto si erano ribellate ai loro creatori frettolosi e distratti (queste forse le loro grandi pecche quando avevano governato) ed avevano iniziato ad attrarre giovani naviganti con il solo intento di confonderli con il loro canto più di quanto essi già non lo fossero.

Del resto, dalla loro avevano armi molto potenti dalle quali erano state imprudentemente dotate: la natura accademica e istituzionale innanzitutto (che teoricamente avrebbe dovuto essere una garanzia) ma anche le tante promesse, di riduzioni della pratica forense e notarile, di una corsia preferenziale per gli esami di abilitazione forense e per i quiz preselettivi, di partecipazione a processi in qualità di V.P.O.(benché senza alcuna retribuzione)…promesse, appunto, solo promesse.

All’inizio in verità il loro canto non era stato molto attraente , ma con il passar del tempo esso stava divenendo sempre più forte ad ammaliatore, anche perché NETTUNO e gli altri DEI una volta giunti nell’OLIMPO non si erano molto curati delle SIRENE, tollerandole ai limiti dell’indifferenza (pare addirittura si fossero dimenticati di esse nel disegno di legge delega sulla riforma dell’ Ordinamento Giudiziario…..).

Quando Ulisse le incontrò lungo il suo viaggio, mentre navigava in una fredda mattina di inizio autunno, rimase come imbambolato, incapace di muoversi e di reagire opponendosi ad esse: “Vieni da noi aspirante uditore”-gli sussurravano con voce suadente-“solo con noi che siamo pubbliche potrai affrontare e vincere il tuo Concorso! Se resti solo non potrai nemmeno parteciparvi e il tuo viaggio verso le COLONNE D’ERCOLE durerà in eterno. Lascia perdere TIRESIA e i suoi indovinelli giuridici, da noi sarai curato da magistrati appartenenti alle giurisdizioni superiori, avvocati di grido, illustri docenti universitari. Hai idea di quanto varrà negli anni la specializzazione in Professioni legali? E’ quasi una seconda laurea. Avanti prode Ulisse non perdere altro tempo!! Il termine per iscriverti scade tra pochi giorni! Dai!! Forza!!”

Più esse cantavano più Ulisse si sentiva attratto verso di loro, nonostante fosse terrorizzato al punto da sudare freddo.

In verità DIOMEDE, tempo addietro, gli aveva parlato di queste SIRENE da lui incontrate subito dopo la laurea e che erano riuscite a farlo cadere in una trappola dalla quale per uscire aveva impiegato quasi due anni passati ad annoiarsi tra lezioni -fotocopia di quelle universitarie ed esercitazioni alienanti mentre veniva sommerso in continuazione da dispense e carte di ogni genere.

“Semmai dovessi incontrare le SSPL sulla tua rotta”- lo aveva messo in guardia “ tappati le orecchie e non ascoltarle e se proprio devi ascoltarle non credere a ciò che ti dicono! Io ho avuto il loro Diploma e ancora non so a cosa mi servirà!!”

Ulisse ricordava bene queste parole, ma quanto era difficile non ascoltare quelle voci soavi, quanto erano rassicuranti le loro promesse… e del resto come avrebbero potuto mentire, esse che direttamente dall’OLIMPO avevano avuto proprio il compito di curare la formazione post-lauream?!

In breve tempo fu completamente posseduto dalle SIRENE, aveva già in mano il modulo da compilare per l’iscrizione alle selezioni e gli sembrava di sentirsi bene quasi come quando era ad ITACA.

Quando ormai tutto pareva perduto accadde una però cosa eccezionale ed imprevista.

La notte prima che si recasse ad iscriversi, mentre si dimenava nel proprio letto combattendo (come al solito) contro l’insonnia la sua nave improvvisamente fu investita da un enorme fascio di luce bianca che la illuminò a giorno: “Che succede??Chi c’è!?”- urlò Ulisse,alzatosi barcollando dal suo letto.

Ad un tratto udì una voce ferma che gli parlava “Non avere paura di me, giovane Ulisse”-disse-“ non mi conosci di persona ma sai chi sono: sono ATHENA, la Dea della Giustizia e sono venuta qui per aiutarti. Come sai la magistratura, in quanto espressione del potere giudiziario, dovrebbe essere autonoma rispetto agli DEI, ma a me è stato riservato dalla Costituzione il compito, che non sempre riesco a svolgere come dovrei, di badare ai Magistrati gestendo le loro carriere. Purtroppo non ho invece poteri nei confronti di voi aspiranti uditori giudiziari e poi da quando siete stati colpiti anche dall’ira funesta di NETTUNO e del suo figliastro POLIFEMO devo stare molto attenta ad espormi con voi. Ho saputo che le SIRENE SSPL hanno già mietuto molte vittime ma forse riuscirò a salvare almeno te”

“Con il dovuto rispetto, mia Signora, io non ho bisogno di essere aiutato da nessuno, tanto meno da te”- replicò Ulisse con orgoglio.

“Non farmi adirare, stolto navigante”- lo ammonì duramente ATHENA-“io sono la tua unica ancora di salvezza, quindi ascoltami attentamente perché non mi ripeterò. Da domani fino alla scadenza del termine per iscriversi alle SSPL tu ti farai legare al timone della tua nave e non ti muoverai di lì; fidati, è l’unico modo che hai per non lasciarti tentare dalle SIRENE!!”

“Ma come farò a resistere tanto tempo così?”-mugugnò l’aspirante uditore-“Loro mi assicurano delle certezze..ed io ora ho bisogno di certezze!! Tu invece cosa puoi assicurarmi? Cosa hai fatto fino adesso per noi naviganti, ingabbiata come sei tra le tante correnti politiche dalle quali sei composta anzicchè essere apolitica come previsto da quella Costituzione che tu stessa hai citato? E quand’è che ci sarà il Concorso!? E’ così tanto tempo noi naviganti che lo attendiamo!”

“Non posso espormi troppo, te l’ho detto!!Devi fidarti e basta.”- continuò la DEA- “Ho emesso una delibera non molti giorni fà con la quale ho sollecitato vivamente e formalmente POLIFEMO a rispettare i termini legge e quindi a bandire almeno il secondo dei tre Concorsi; so che non è tanto ma egli non potrà non tenerne conto…vedrai che entro qualche mese al massimo la situazione si sbloccherà e la strada per le COLONNE D’ERCOLE si schiarirà almeno in parte”.

Ma Ulisse ancora non era convinto: “Ammesso che le cose vadano come dici tu, o ATHENA, chi mi aiuterà quando il Concorso sarà stato bandito? Chi mi indirizzerà e curerà la mia formazione? Non potrò mai affrontare il resto del viaggio da solo.. con le SSPL sono sicuro che raggiungerò la mia meta, anche se tra tanti anni..perlomeno questa è una certezza no?”

La DEA dopo aver udito simili parole pareva un po’sconfortata, ma non si arrese e concluse : “Le SIRENE sono solo un’illusione!!Il viaggio,comunque sia, in fin dei conti va sempre affrontato da solo, e questo lo sapevi sin da quando lo hai intrapreso. Ricorda che puoi fare affidamento solo su te stesso, sulla tua preparazione ed elasticità mentale; e poi, non dimenticarti che hai sempre TIRESIA che puoi consultare…so che a volte egli ti sembra davvero incomprensibile ma, ti assicuro, dietro ogni sua parola c’è un suggerimento utile per trovare la rotta che stai cercando. Sarà lui a guidarti, se riuscirai a seguirlo fino in fondo.

Ma se supererai le SSPL c’è un altro temibile ostacolo che prima o poi dovrai affrontare e sul quale nemmeno TIRESIA potrà esserti d’aiuto: SCILLA e CARIDDI, le terribili PROVE PRESELETTIVE….ora però devo proprio andare. Buona fortuna!!!”- e mentre pronunciava queste ultime parole il fascio di luce che l’accompagnava scomparve in una frazione di secondo, lasciando Ulisse sconsolato nel buio della sua nave sperduta in mezzo al mare.

Indubbiamente le parole di ATHENA avevano scosso fortemente il giovane navigante, il quale a seguito della grande emozione provata in quei fugaci attimi sentì che di colpo le forze gli stavano mancando e cadde ansimante in un sonno profondo e senza sogni.

Si destò dopo molte ore in preda ad un feroce dolore alla testa, senz’altro causato dalla vicinanza che lui, comune mortale aveva avuto con l’aura molto forte della Dea ATHENA.

Per riprendersi gli ci vollero due o tre giorni che egli trascorse a letto, in uno stato quasi vegetativo, riuscendo a malapena ad alzarsi per mangiare qualche pietanza calda.

Raccontò dell’accaduto a DIOMEDE, il quale si precipitò da lui e con voce trafelata disse: “ATHENA ti ha parlato!? Ti rendi conto di che fortuna hai avuto? Se ella non ti ha fulminato quando le hai risposto in modo ardito vuol dire che tiene a te in modo particolare…devi ascoltare le sue parole Ulisse, almeno devi provare a seguire i suoi consigli….un giorno mi ringrazierai!!!”-e scappò via sulla sua nave prima che Ulisse potesse rendersi conto che lo aveva chiuso nella sua cabina portando via con sé la chiave!

“Povero illuso – pensò sghignazzando Ulisse – è davvero convinto che io non riuscirò a scendere da questa nave? Se deciderò di andare dalle SIRENE SSPL non avrò problemi a sfondare questa porta o anche a calarmi giù in mare aperto!”- e si sedette tranquillo alla sua amata scrivania, che egli ancora considerava il suo timone e sulla quale trascorreva da anni gran parte delle sue giornate.

Ma dalle sue parole traspariva già come egli, forse solo inconsciamente, non fosse più del tutto convinto del fatto di iscriversi..e alla scadenza di quel fatale termine mancavano solo tre giorni.

Dopo qualche ora di attesa iniziò a camminare nervosamente su e giù per il ponte, sempre più veloce, sempre più furioso.

Poi cominciò a prendere a spallate la porta della cabina che però, per fortuna, si rivelò molto più robusta di quanto il giovane pensasse…mentre si accaniva e gridava e ansimava quasi come un uomo morso da una tarantola, la sua mente annebbiata recuperò per un momento la lucidità perduta portandolo ad una riflessione che quasi lo fulminò: forse ATHENA gli aveva parlato perché in qualche modo lo aveva scelto, non potendosi esporre ella in prima persona, per divulgare il suo pensiero ai tanti altri aspiranti uditori in crisi come lui! Forse egli avrebbe dovuto farsi portavoce e, trovando dentro di sé una forza che non pensava di avere, riportare quanti più naviganti alla deriva sulla rotta giusta del viaggio verso le COLONNE. Ma perché era stato scelto proprio lui? A questa domanda non trovò risposte precise, ma poco gli importava.. non sarebbe andato verso le SIRENE e avrebbe cercato di condurre dietro di sé tutti coloro che aveva conosciuto durante il lungo viaggio affrontato fino ad allora, e i loro amici, e gli amici dei loro amici e così via!!

Forse ragionando con la lucidità di chi guarda alle vicende del passato con gli occhi di un’altra epoca si potrebbe pensare che la DEA avesse parlato ad Ulisse perché era riuscita a percepire il suo amore, vivo e sincero, per il Diritto, ed aveva sentito quanto dentro di sé il giovane fosse pronto ad “accettare la condizione di rifiuto sociale” e di isolamento nella quale a volte si trovava “pur di perseguire il mondo dei sentimenti”* e dunque il suo sogno più grande: superare le COLONNE D’ERCOLE ed essere Magistrato per servire la Giustizia e ricercare la Verità…..ma questa è solo un’ipotesi e dunque lascia il tempo che trova.

Ormai si era convinto e decise che avrebbe usato ogni mezzo di comunicazione a sua disposizione per contattare i tanti aspiranti uditori che conosceva e parlare con loro, convincendoli a continuare il viaggio (per lui essi non mai stati erano potenziali concorrenti) e a superare le loro inquietudini come aveva fatto lui.

Doveva però ancora sconfiggere le SIRENE e questo non l’aveva certo dimenticato…le loro voci soavi e irresistibili continuavano a giungere alle sue orecchie, ma ormai si trattava di resistere solo un paio di giorni…ce la poteva fare.

Decise di occupare questo tempo da passare sulla sua nave non pensando al Diritto ma distraendosi nei modi più diversi…per non pensare lesse JOYCE e PROUST e rispolverò i DYLAN DOG tanto amati nell’adolescenza; per non sentire ascoltò l’eterno VASCO (ancora oggi pare ci sia qualcuno che lo ascolti) e il surreale VINICIO; per non vedere si dilettò con i film di SCOLA e TORNATORE e sorrise degli eccessi sempre sinceri del grande comunicatore FUNARI…e così passarono i minuti e le ore.

Quando fu certo che ormai il tempo per andare dalle SIRENE fosse scaduto ormeggiò la nave nel primo porto che gli capitò di incontrare, gettandosi finalmente giù da essa, e corse in strada a perdifiato felice quasi come un bambino che corre incontro alla sua mamma.

E quando non riuscì più a correre si fermò su di una piccola altura e gridò più forte che poteva : “Non mi avrete mai maledette!!”; quando si fu calmato le voci non c’erano più, sparite nell’ oscurità come foglie secche che si allontanano spazzate via dal vento dell’autunno.

Aveva voglia di bere, di festeggiare, di ubriacarsi e divertirsi con DIOMEDE e gli altri vecchi amici naviganti e così fece…sapeva che dopo quella sera avrebbe dovuto navigare tanto perchè il viaggio sarebbe ripreso a ritmi serrati verso un nuovo e terribile ostacolo…SCILLA e CARIDDI.

L’indomani tornò nella caverna di TIRESIA, dalla quale mancava da qualche settimana…l’indovino lo guardò con la sua solita espressione incantata, a metà tra un sorriso sincero ed una presa per i fondelli; sembrava che sapesse tutto ciò che Ulisse aveva passato in quel periodo di assenza e che, ovviamente, approvasse la sua scelta ed il suo ritorno ( anche i suoi nuovi doni votivi, penseranno i maligni ).

SCILLA e CARIDDI…cosa mai potevano essere?! TIRESIA non ne aveva mai parlato.

Ulisse come al solito ne discusse con molti altri aspiranti uditori e così iniziò a farsene un’idea più dettagliata.

Questi mostri erano stato creati dagli DEI non molti anni prima, per scoraggiare i naviganti che avessero voluto intraprendere il viaggio ( il cui numero era cresciuto a dismisura negli ultimi anni, in maniera inversamente proporzionale al prestigio della Magistratura), ma soprattutto per falciare in maniera drastica coloro che, dopo i vari altri ostacoli, si fossero avvicinati alla meta giungendo fin quasi in vista delle COLONNE D’ERCOLE.

Erano dunque i guardiani del Concorso, trovandosi infatti nascoste alle soglie di esso, ed avevano assunto le sembianze di PROVE PRESELETTIVE ( già quest’espressione mette quasi i brividi) o di quiz, come si chiamano oggi.

Dovevano fare in modo che, attraverso le loro strette maglie passasse solo un numero esiguo di aspiranti uditori (esiguo se rapportato a quello dei potenziali partecipanti) perché i poveri componenti delle Commissioni erano stanchi di correggere temi su temi, a volte per anni, essendo costretti in tutto questo periodo a rinunciare a volte completamente alle loro redditizie attività lavorative in cambio di doni di poco valore, quasi simbolici, che gli DEI concedevano loro per il servigio reso.

Nessuno insomma voleva più far parte di queste Commissioni esaminatrici ed addirittura si vociferava che alcuni componenti di esse (aderendo a prassi già in voga agli esami di abilitazione forense presso alcuni Ordini) fossero arrivati a cestinare direttamente gli elaborati prima ancora di averli letti, prestando attenzione solo ad alcuni di essi che (chissà perché dato il rigoroso anonimato che avrebbe dovuto contraddistinguerli) gli erano risultati più simpatici….

Fu a quel punto che, per tutelare il prestigio del Concorso per Uditori Giudiziari, a qualche luminare lassù nell’ OLIMPO era balenata un’idea sciagurata… “facciamo imparare a memoria tutte le leggi agli aspiranti uditori-si era detto-solo coloro che se le ricorderanno tutte, in quanto più meritevoli, potranno partecipare al Concorso…tutti gli altri che se ne tornino a casa senza nemmeno averci potuto provare”, con buona pace dei loro sogni, delle loro effettive capacità , ma soprattutto di principi sanciti nella Costituzione (art. 51 c°1 in combinato disposto con gli artt. 97 c°3 e 106 c°1, tanto per citarne qualcuno).

Detto, fatto!! Ecco SCILLA e CARIDDI che, dall’alto degli scogli informatici sui quali si trovavano erano pronte a sputare via, ricacciandoli lontano anni luce dal Concorso e dalle COLONNE D’ERCOLE tutti quei naviganti che, pur essendo giuristi fini ed equilibrati e pur possedendo grandi capacità argomentative (doti indispensabili per diventare dei buoni Magistrati), avessero dimenticato come si doveva effettuare una servitù di presa d’acqua con ruota, a carico di chi fosse lo spurgo di pozzi e latrine nel contratto di locazione, se potesse esservi o no accrescimento tra collegatari, in quali casi alla condanna penale conseguisse l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi di persone giuridiche e imprese, quali fossero tutti i compiti dei segretari comunali ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

Insomma, ormai per divenire uditore giudiziario era necessario avere una memoria di ferro… alle argomentazioni giuridiche forse era meglio preferire cure di fosforo, al posto dei manuali di Diritto era preferibile usare voluminose raccolte di quesiti a risposta multipla (simili, solo come impostazione, a quelli che al giorno d’ oggi vengono usati negli esami per conseguire la patente di guida……) da ripetere meccanicamente fino a perderci la vista, fino alla nausea, alla depressione.

Le proteste di tutto il mondo giuridico non avevano ovviamente tardato a farsi sentire e così SCILLA e CARIDDI, dopo esposti, istanze, ricorsi, pubblici appelli e quant’altro erano state distrutte a furor di popolo da dei nuovi semi-dei creati dagli DEI, i CORRETTORI ESTERNI…o almeno questo si era pensato dovesse succedere.

Eh già, perché esse erano mostri particolarmente resistenti; riuscirono a rimanere quiescenti, in stato di morte apparente, e poi di colpo tornarono in vita più temibili di prima perché, si disse, i CORRETTORI ESTERNI che ( calatisi nel Concorso come un Deus ex makina) avrebbero dovuto aiutare le Commissioni esaminatrici a correggere le montagne di elaborati scritti non c’erano, non erano ancora pronti, e comunque non potevano essere nominati dai CONSIGLI GIUDIZIARI per problemi logistico-burocratici.

Ancora PROVE PRESELETTIVE dunque…SCILLA e CARIDDI, buttate fuori dalla porta principale, erano agevolmente rientrate dalla finestra, con la giustificazione che sarebbe stato così per poco tempo (uno, due Concorsi al massimo), ed ora attendevano il navigante Ulisse e l’enorme flotta degli aspiranti uditori, di nuovo appostate orribilmente sui loro scogli informatici.

Per la verità, esse prima che venisse bandito un Concorso erano quasi invisibili, e passavano molto del loro tempo a sonnecchiare (anche perché nessun navigante correva il rischio di avvicinarsi ai loro anfratti senza che la meta verso la quale volevano impedire il passaggio fosse quantomeno immaginabile); ma quando le COLONNE D’ERCOLE divenivano raggiungibili si mostravano in tutta la loro mestizia (e la loro forma e il loro numero mutava di volta in volta), la loro fame di aspiranti uditori cresceva a dismisura ed erano inflessibili, fredde, incorruttibili, insensibili ad ogni sentimento di pietà o di rimorso( come solo un computer può essere).

Ulisse aveva il suo piano…da alcune battute di TIRESIA egli aveva capito che le PROVE PRESELETTIVE non mutavano poi tanto di Concorso in Concorso (salvi i dovuti aggiornamenti degli archivi dei quesiti), quindi sarebbe stato senz’altro utile per lui e per gli altri cercare di conoscerle il più possibile prima ancora che fosse vi fosse il Concorso stesso (il cui Bando nel frattempo continuava a giacere impolverato sulla scrivania della caverna di POLIFEMO in Via Arenula, in attesa di una semplice firma), per poi trovarsi avvantaggiati successivamente non dovendo cominciare da zero.

Procurarsi le vecchie raccolte di quesiti fu cosa abbastanza facile…molto più difficile fu invece aprire quei libracci ed iniziare a familiarizzare con essi…quanto erano aridi!

Ulisse, sin da quando aveva iniziato a studiarlo, aveva sempre sentito il Diritto come qualcosa di vivo, di veramente vario ed umano; tuttavia esso, letto attraverso quegli stupidi quiz, gli pareva ora quasi come un fiero animale chiuso in gabbia.

Ma la maggiore difficoltà era per lui conciliare questa nuova attività mnemonica e compilativa con lo studio necessario per svolgere le esercitazioni preparate da TIRESIA, dalle quali non voleva né poteva allontanarsi; erano due cose opposte, quasi antitetiche.

Per questo motivo, nonostante la sua buona volontà, non riuscì preliminarmente ad esaminare tutti i quasi 16000 (!!!) quesiti e soprattutto all’inizio vi si dedicò in modo incostante e un po’ caotico: solo dopo parecchie settimane comprese come anche quel lavoro andasse affrontato con metodo, ed allora le cose cominciarono ad andare meglio( seppur sempre con grande fatica).

I personaggi dei quesiti preselettivi, da MEVIO a TIZIETTO, iniziarono addirittura a popolare i suoi sogni notturni (ormai non era più padrone nemmeno di quelli), ad entrargli quasi nel cervello ottenebrandolo ed impedendogli di argomentare e ragionare come al solito…era normale che ciò accadesse e lui lo sapeva: c’era solo da avere pazienza augurandosi che finissero presto..ma erano davvero tanti, troppi!

E così venne il giorno del Bando.

Arrivò quasi per caso in una gelida giornata di inverno, di quelle in cui il freddo è così freddo che sembra capace di tagliare la faccia, da passare preferibilmente in casa dinanzi al caminetto acceso e sorseggiando del buon the caldo.

Ulisse invece navigava come al solito quel giorno, alla ricerca di nuovi manuali e delle ultime novità giurisprudenziali; fu DIOMEDE a dargli la notizia: “POLIFEMO ha ceduto!!”- urlò –“E’ fatta Ulisse! Ora si che viene il bello!”.

Dopo poco la notizia fu di pubblico dominio, e Ulisse si ritrovò tra le mani quel breve e tanto agognato D. M.

Stranamente leggerlo non gli diede alcuna emozione particolare; forse dopo tanta attesa, ed essendo alla prima esperienza di viaggio, ancora non riusciva a rendersi conto di cosa significasse esattamente l’uscita del Bando di Concorso.

Ma in effetti, a ben vedere, perché mai avrebbe dovuto rallegrarsi tanto?

In un ordinamento giuridico che funzioni un semplice Bando di un pur importante Concorso pubblico dovrebbe essere qualcosa di assolutamente normale e non di eccezionale, dovrebbe essere un atto dovuto nei confronti dello Stato (che ha la necessità di rinnovare ed incrementare i suoi apparati ) e dei cittadini (i quali se in possesso dei requisiti hanno il sacrosanto diritto di parteciparvi, oltre che un interesse legittimo a che esso si svolga in maniera rapida e regolare), non certo assurgere al rango di grazia ricevuta dall’alto e concessa con discrezionalità quasi assoluta!!

Chissà, forse anche in base a queste elementari considerazioni Ulisse ( che, pur vivendo in quell’epoca oscura, aveva in sé ben radicato il senso dello Stato) rimase sostanzialmente impassibile e cercò di continuare il viaggio secondo la rotta che aveva ormai intrapreso.

Ma era inevitabile che con il Concorso definitivamente bandito le cose sarebbero cambiate: sempre più PROVE PRESELETTIVE allora, fin quasi all’ossessione; uscite pubbliche ridotte quasi al lumicino ( beh, perlomeno, in vista di un obiettivo ora più concreto); fuga generale di tutti gli aspiranti uditori verso le loro navi, abbandonando almeno momentaneamente TIRESIA e i suoi indovinelli.

Quando Ulisse si recò da lui, nell’antro buio più del solito c’era un’atmosfera molto pesante, quasi di smobilitazione: dei naviganti ancora rimasti alcuni pregavano con un filo di voce; altri mettendosi in disparte piangevano cercando di non farsi sentire; gli abitudinari del Diritto (quelli con cui Ulisse non era mai riuscito a parlare), avvinti nelle loro vesti seriose, indossavano addirittura dei paraocchi lunghissimi con all’estremità collocate pagine di testi giuridici e, nelle pause, si tappavano anche le orecchie in modo da mantenere una concentrazione totale per tutto l’arco della giornata.

Il Bando era così, atteso ed agognato prima che uscisse, temuto e quasi maledetto poi…come una pioggia torrenziale dopo una grande siccità; i contadini sanno benissimo che essa provocherà loro danni e sofferenze, ma nonostante tutto continuano ad invocare il suo arrivo guardando il cielo perché comunque solo grazie ad essa potranno un giorno avere un buon raccolto.

TIRESIA conosceva benissimo questa situazione; egli aveva preparato e consigliato gli aspiranti uditori sin dalla notte dei tempi, e sapeva interpretare tutti i loro stati d’animo: “Capisco bene che per voi questo è un momento difficile e di emergenza, ma vi consiglio per il vostro bene di non abbandonarmi del tutto”- disse e poi continuò a parlare magnificamente di Diritto come al solito, ben conscio (e tuttavia non mortificato per ciò) del minore grado di attenzione suscitato dalle sue argute elucubrazioni.

Ed Ulisse cosa avrebbe fatto, ora che il gioco si stava facendo così duro? Dove e con chi avrebbe navigato continuando il viaggio? Si sarebbe fatto prendere dal panico e dall’arrendevolezza proprio sul più bello?

Non se la sentiva di abbandonare TIRESIA, il quale a modo suo era entrato profondamente nella sua esistenza ritmandone “illusioni, delusioni, ansie, timori, certezze, frustrazioni, perfino qualche timida esaltazione (subito umiliata e resa inoffensiva)”*.

Ma non se la sentiva nemmeno di abbandonare la Capitale, la città che nei momenti in cui egli non era sulla sua nave lo aveva amorevolmente accolto tra le sue braccia, nel suo caleidoscopio e che lo aveva fatto maturare non solo sul piano giuridico, rendendolo forse finalmente e definitivamente un uomo.

In quella città così grande egli aveva forse trovato la sua giusta dimensione, e sentiva di fare ormai parte inscindibilmente di essa, al punto di pensare che avrebbe voluto un giorno, alla fine di tutte le sue battaglie e dopo aver messo da parte ardore ed egocentrismo giovanili, venirci a vivere per farsi una famiglia e mettere radici (sempre che le vicende della vita ed il fato glielo avessero consentito).

Non fuggì allora, e non si rifugiò dalle persone che gli volevano bene come quasi tutti i suoi amici naviganti, ma restò; non per questo però i lunghi mesi di preparazione, condotti in quasi completa solitudine sulla sua nave, furono meno duri ed aspri.

In questo lungo periodo ebbe anche modo, quando il troppo studio (ma soprattutto i troppi quiz) non faceva venir meno la sua lucidità, di tracciare un primo vero bilancio del suo viaggio verso le COLONNE D’ERCOLE.

Erano passati ormai molti mesi da quando aveva lasciato ITACA senza colpo ferire, e da quella data si sentiva molto cambiato.

Oltre a tutto ciò che aveva appreso sul Diritto, aveva imparato a ragionare in maniera molto diversa da quella a cui era abituato prima, a rimanere concentrato per molte ore, a non arrendersi di fronte a problemi e questioni dei quali sapeva poco o niente (situazioni che potevano ben capitare in una prova scritta di Concorso, specie in ambito civilistico), ma ad affrontarle con equilibrio e capacità argomentativa; aveva poi acquisito l’arma dell’elasticità mentale, che gli consentiva di mostrare una visione sempre unitaria del fenomeno giuridico, dandogli la possibilità di effettuare al momento opportuno efficaci nonché apprezzabili collegamenti interdisciplinari.

Apprezzò quindi ancora di più il lavoro di TIRESIA , e per la prima volta si rese conto che, anche se non fosse riuscito a completare il viaggio superando il Concorso quell’esperienza di studio e di vita che tanto lo aveva arricchito gli sarebbe rimasta dentro per tutto il resto di quel meraviglioso viaggio che in fondo era la vita.

Qualunque cosa il fato gli avrebbe riservato, qualunque mestiere avesse esercitato (dall’avvocato fino al contadino), non si sarebbe mai riposato sulle facili certezze e sui dogmi incrollabili ma avrebbe sempre cercato di andare oltre, di guardare l’altra faccia della verità, di “trarre l’ignoto dal noto” (espressione cara a DIOMEDE) , mettendosi sempre in discussione senza mai aver timore di contraddirsi, di ricredersi, di non risultare conforme agli schemi che altri avessero tracciato per lui.

In un mare fatto per tanto tempo solo di dubbi e timide speranze aveva finalmente trovato una certezza, e questa scoperta lo riempì di una serenità incrollabile; era la spinta decisiva, quella che gli serviva per fare l’ultimo sforzo e presentarsi senza timori e più agguerrito che mai al cospetto di SCILLA e CARIDDI, e lui l’aveva..finalmente l’aveva!!

Doveva dare il massimo e l’avrebbe fatto, avrebbe imparato tutti i quesiti a memoria (per poi sperare di dimenticarli il più presto possibile dopo la prova, ovviamente…), avrebbe sconfitto anche le PROVE SELETTIVE.

L’ultimo periodo di preparazione fu tremendo…non riusciva affatto a guidare la nave che pareva andare alla deriva, se ne stava tutto il giorno a rimbambirsi sui quiz, aveva la barba lunga come un falegname delle foreste del Nord, aveva dovuto mettere da parte ogni altro interesse e non aveva neanche la forza di andare a salutare TIRESIA, ma almeno allora era meglio così.

Gli avevano consigliato, quando SCILLA e CARIDDI gli avrebbero proposto i suoi novanta crudeli e personalissimi quesiti, di mantenere la calma; avrebbe avuto tempo per risolverli, poteva meditare su ognuno di essi, non doveva rispondere all’istante.

Ma, gli era stato anche detto, una volta che avesse scelto (anche d’istinto) una delle quattro possibili risposte multiple propostegli, non avrebbe mai, per nessuna ragione al mondo, dovuto cambiarla facendosi prendere dall’incertezza.

Quasi tutti coloro che avevano fatto così avevano perso, perché quelle diaboliche procedure erano nemiche giurate del dubbio, ed in quelle situazioni spesso in realtà dietro una risposta data apparentemente a caso si poteva celare una scelta operata inconsciamente dalla propria memoria più recondita, anche visiva; egli non aveva compreso del tutto queste affermazioni, ma le condivideva…e presto, molto presto, le avrebbe provate sulla sua pelle.

Ulisse non era certo quello che oggi si definirebbe un soggetto emotivo: calmo e riflessivo, aveva fatto della razionalità la sua arma vincente in molte situazioni anche difficili che gli erano capitate; poche volte gli capitava di restare impressionato da qualcosa ed ancor meno di farsi prendere dal panico…ma quando con la sua nave arrivò in vista di SCILLA e CARIDDI e cominciò a scorgere in modo sempre più nitido le loro perfide sagome, un lungo brivido lo pervase e gli salì lungo la schiena, togliendogli il respiro e lasciandogli la bocca completamente secca…aveva paura.

In quel momento avrebbe voluto cambiare rotta e tornare indietro; cosa avrebbe dato per trovarsi al sicuro, nello Studio legale abbandonato tanto tempo prima, a scopiazzare qualche atto lanciando sguardi maliziosi ad una seducente segretaria; quanto gli sarebbe piaciuto essere ancora ad ITACA, all’università, o ancora meglio a casa nel suo letto caldo e profumato, con sua madre seduta vicino a lui ad accarezzargli dolcemente i capelli (lo faceva sempre quando era più piccolo); come sarebbe stato bello ritrovarsi bambino a casa dei nonni che lo riempivano di favole, dolci ed affetto.

Si distrasse al punto che stava andando a scontrarsi contro altri naviganti e ci mancò poco che dovesse mollare per davvero.

Poi però gli vennero in mente le parole di una canzone ascoltata tempo addietro, “non ci sono percorsi più brevi da cercare. C’è la strada in cui credi, e il coraggio di andare”* diceva, e capì una volte per tutte che il periodo dell’incoscienza era finito, che non poteva abbandonare le sue responsabilità, deludendo sé stesso e tutti coloro che avevano creduto in lui; doveva provarci a qualunque costo..solo così, comunque fossero andate le cose non avrebbe avuto rimorsi né sensi di colpa; strinse forte il timone e non si fermò, ma puntò dritto verso le PROVE PRESELETTIVE.

Giunto presso di loro, fu prelevato quasi con forza dalla sua nave, bendato e portato in una piccola gabbia buia e isolata, in cui la voce metallica di SCILLA, deputata alla formulazione delle domande a risposta multipla, cominciò meccanicamente ad elencargli i novanta quesiti a cui avrebbe dovuto rispondere in novanta minuti.

Cercò di mantenere la calma ma non era facile; all’inizio gli pareva di non ricordare assolutamente nulla, di avere la mente vuota come una zucca, di non saper rispondere a nessun quiz.

Per sua fortuna il lungo e metodico lavoro a cui il giovane navigante si era sottoposto cominciò a dare i suoi frutti man mano che i secondi passavano, ed iniziò a trovarsi sempre più a suo agio seppur in quell’ambiente così ostile; quando aveva anche una minima istintiva preferenza per una risposta la assecondava e non la modificava più, evitando di riascoltarla, mentre le risposte sulle quali era in forte dubbio se le lasciò per la fine, cercando di sfoltirle sempre di più.

Ad un tratto si accorse che mancavano pochi istanti al termine della prova e non aveva risposto ancora a tre quesiti…su uno dei tre aveva una mezza idea di risposta ma gli altri due non li ricordava proprio, come se non li avesse mai visti né sentiti prima!

Disperato, Ulisse decise allora che l’unica cosa da fare era affidarsi alla sorte; avrebbe risposto a caso a quei due quiz, e poi non gli sarebbe rimasto altro che sperare.

Diede l’ultima riposta allo scoccare dell’ultimo secondo, e subito dopo si trovò catapultato dinanzi a CARIDDI, deputata alla correzione, istantanea e senza appello, dei quesiti: “l’aspirante uditore giudiziario Ulisse di ITACA ha totalizzato ottantotto risposte esatte e due errate. Egli dovrà dunque attendere il passaggio di tutti gli altri naviganti per sapere se potrà partecipare al Concorso o meno. Ora se ne può andare. Che venga immediatamente risbattutto sulla sua sgangherata nave!”

Altro che sorte e fato! Le due risposte che aveva dato a casaccio le aveva sbagliate entrambe! Evidentemente i Numi non gli erano favorevoli, ma era comunque ancora in gioco ed era questa la cosa più importante.

Dinanzi ai suoi occhi nel frattempo intere flotte di altri naviganti cadevano falcidiate sotto i colpi sferzanti di SCILLA e CARIDDI, concludendo le loro prove con una miriade di errori che non lasciava loro alcuna speranza…essi ormai erano fuori dal Concorso, non avrebbero più potuto raggiungere le COLONNE D’ERCOLE.

Ulisse invece doveva aspettare, aspettare, aspettare; quanti sigari e sigarette (purtroppo) abbia fumato durante quella snervante attesa lo si può ben immaginare.

Fino a quel giorno il giovane aveva sempre pensato che il Concorso per Uditori Giudiziari fosse in realtà una gara contro sé stessi o al massimo contro gli DEI ostili ai futuri Magistrati (oltre che ai presenti): quel giorno invece iniziò a capire che non era proprio così e che esso, per come era stato strutturato, dipendeva tanto anche dal numero e dal livello dei partecipanti, i quali dunque conducevano tra loro una sorta di “guerra indiretta”.

Non esistevano infatti standard valutativi dei candidati validi in astratto ed in assoluto, ma essi dovevano essere sempre rapportati al caso concreto in modo da evitare troppe o troppo poche ammissioni rispetto al numero dei posti messi a Concorso.

Quel giorno aveva imparato una nuova lezione, e l’avrebbe tenuta sempre a mente, comunque gli fossero andate le cose.

E alla fine le cose gli andarono bene!! Dopo lunghe ore di trepidazione ed ansia trascorse in balia delle onde, dopo essere arrivato ad un passo dal baratro gli parve di essere ripreso per capelli: era passato, era entrato, ce l’aveva fatta…avrebbe potuto partecipare al Concorso per cui tanto aveva lottato e penato! Due errori non erano riusciti a buttarlo fuori dalla mischia.

La sua grande gioia per aver sconfitto ed essersi comunque lasciato alle spalle SCILLA e CARIDDI divenne quasi estasi quando, di lì a poco, apprese che anche DIOMEDE ed altri naviganti a cui era molto legato avevano superato le PRESELETTIVE.

Avrebbero proseguito il viaggio insieme, e tutti insieme sarebbero arrivati fino in fondo, fino alle COLONNE D’ERCOLE.

Si sentiva grande come una montagna, duro come l’acciaio, bello come un Adone; dentro di sé l’aveva sempre saputo che lui il viaggio l’avrebbe potuto portare a termine e che l’avrebbe fatto insieme ai suoi amici: ma quanto era stata dura arrivare fin lì!

Aveva tempo per prepararsi a raggiungere l’ostacolo finale, eppure quel tempo gli pareva sin dall’inizio così breve: doveva rispolverare le materie che aveva tralasciato per un bel po’, recuperare l’elasticità mentale scalfita duramente da mesi di soli quiz, ritrovare la capacità argomentativa perduta…aveva bisogno, ora più che mai, di TIRESIA.

L’anziano indovino, naturalmente, già sapeva quali tra tutti i naviganti che a lui si erano rivolti fossero sopravvissuti ai quiz, e per essi aveva pronto un programmino speciale di allenamento ed avvicinamento alle COLONNE D’ERCOLE, fatto di ASSEGNI raddoppiati o triplicati, di lezioni ancora più lunghe, di pause abolite, di esercitazioni sempre più difficili e cervellotiche.

Ma nessuno aveva voglia di lamentarsi di tutto questo: in fondo lo faceva per il loro bene, buon vecchio TIRESIA!

E pensare che c’era tanta gente, maligna ed incompetente, la quale magari senza averci mai parlato sosteneva che la sua unica bravura (dal momento che anch’egli un tempo era stato giudice) fosse quella di riuscire ad interpretare l’ORACOLO SUPREMO DEI MAGISTRATI per farsi indicare, ed indicare poi ai suoi naviganti delle rotte preferenziali o predefinite per raggiungere più agevolmente le COLONNE D’ERCOLE!

Anche ad Ulisse alcuni avevano detto questo, ma il giovane sin dall’inizio aveva capito che le cose non stavano affatto così e che TIRESIA in realtà riusciva a forgiare le menti di coloro che riuscivano ad ascoltarlo (e non tutti ci riuscivano), ad insegnare loro a trovare da soli la rotta giusta in ogni situazione, senza mappe né bussole: per lui quell’indovino così particolare era stato un vero maestro di vita.

I naviganti superstiti non erano poi tantissimi e ormai tra di loro si conoscevano tutti; li conosceva tutti anche TIRESIA il quale per ognuno di loro aveva una parola, uno sguardo, un gesto, un sorriso.

Dovevano tutti lavorare sodo, moltiplicare le forze fisiche e mentali, ma anche dormire più che potevano poiché il riposo sarebbe stato un’arma fondamentale in un’ottica di lungo periodo.

Si procurarono nuovi e specifici libri di Diritto, sempre più complicati e che li avrebbero condotti alle più alte sfere del sapere giuridico; solo così sarebbero stati davvero preparati, pronti per affrontare le acque perennemente tempestose che si trovavano in prossimità delle COLONNE D’ERCOLE…le PROVE SCRITTE.

Il viaggio verso di esse sembrava una lunga ed estenuante corsa contro il tempo e la volata era ormai stata lanciata, bisognava saper accelerare progressivamente e sapersi gestire altrimenti si correva il rischio di esaurirsi, di finire “fuori giri”.

Quello che li aspettava era terribile: delle prove formulate (si diceva) in modo simile alle esercitazioni che TIRESIA era solito dare loro e da affrontare in ben otto ore di tempo per ciascuna di esse, con il solo ma importante supporto dei dati normativi, della nuda legge.

A parte il fatto che esse potevano vertere su programmi non ben circoscritti ed amplissimi ( le implicazioni pratiche che un qualsiasi istituto giuridico può avere sono infatti incalcolabili ), il dato che rendeva davvero ostiche queste prove era molto spesso dato dalla loro formulazione apparentemente elementare ma sibillina.

Solo chi fosse riuscito, con una costante lucidità, ad inquadrare esattamente lo spirito di tali tracce cogliendo tutti i necessari passaggi logici che esse implicavano avrebbe potuto decifrarle e di conseguenza svolgerle…in caso contrario si prospettava l’atroce calvario di ore ed ore passate tentando di buttar giù quattro righe raffazzonate attaccando qua e là nozioni, interpretazioni, invenzioni.

Si poteva alla fine consegnare tutto ciò che si voleva, ma sin dai tempi più antichi aleggiava un monito su tali PROVE SCRITTE: chiunque si fosse avvicinato alle COLONNE D’ERCOLE e avesse tentato ,consegnando, di superare queste acque tempestose senza riuscirvi per tre volte sarebbe stato colpito da una eterna maledizione che lo avrebbe ricacciato in un limbo di rimorsi e frustrazioni!!

Tutti i naviganti conoscevano questa ancestrale regola e tutti la temevano, anche se TIRESIA consigliava sempre di far finta che essa non esistesse e di tentare sempre e comunque di consegnare i temi.

Ulisse e DIOMEDE, in un momento di riflessione su quello che li attendeva, fecero allora un patto di sangue, giurandosi reciprocamente che qualunque cosa fosse successa essi avrebbero consegnato i loro lavori e non sarebbero scappati via per evitare le tempeste: certo, per loro quello era il primo vero tentativo e la maledizione era lontana, ma sarebbero riusciti comunque a mantenere quella promessa?

Seguirono settimane di grande concentrazione e meditazione per i giovani naviganti, giorni nei quali non ebbero nemmeno il tempo per preoccuparsi o abbattersi.

Fu quello un periodo di navigazione e studio unico e di grande intensità, ad ogni modo irripetibile nelle loro vite; sarebbe forse arrivato il tempo in cui qualcuno tra loro lo avrebbe anche ricordato con nostalgia e magari rimpianto, come un gladiatore sopravvissuto miracolosamente a mille battaglie che in vecchiaia rimpiange di non poter più udire il fragore assordante dell’arena!

Avevano cominciato quel lungo viaggio quasi per avventura, senza comprenderne bene il senso, ma si stavano man mano accorgendo che era stato il viaggio stesso a dare un senso alle loro esistenze presenti e forse future.

Con queste convinzioni Ulisse andava avanti nei giorni di avvicinamento alle PROVE SCRITTE, anche se a volte gli sembrava di continuare a navigare per inerzia, come se non fosse più completamente padrone della sua nave e della sua mente.

Ad ogni modo, nonostante tutte le difficoltà e la consapevolezza delle alte probabilità di fallimento, si trattava di un periodo sereno: nulla a che vedere con i terribili mesi passati sui quiz, o con l’angosciante lungo tragitto compiuto alla cieca fino al Bando…presto sarebbe arrivato il momento della verità.

Per la prima volta anche TIRESIA aveva in parte abbandonato la sua calma olimpica per divenire in certi momenti più diretto e concreto, e cercava a modo suo di infondere grinta nei giovani.

Eppure anche sul suo volto, in alcune espressioni, trasparivano i segni di una stanchezza mentale evidente unita ad un lento ma inesorabile decadimento fisico: chissà se prima o poi avrebbe deciso di smettere anche lui (come CAPOZZI il grande) di istruire i naviganti, ritirandosi a contemplare il Marechiaro dalla finestrella della sua villa partenopea( rectius, posillipina)…e chissà quanto, anche a lui, quella vita interamente dedicata al viaggio sarebbe mancata!

L’ultimo mese di avvicinamento alle COLONNE D’ERCOLE fu il più strano, quasi surreale…il mare era sempre calmo ed il cielo sereno, non c’era mai vento ma solo una piacevolissima brezza… ma era solo la quiete prima della tempesta.

Stava oltretutto arrivando per i giovani il duro momento in cui TIRESIA si sarebbe accomiatato da loro, dato che gli DEI non gli consentivano di accompagnarli fino nell’ultima parte del viaggio (quella delle PROVE ORALI ) , ma l’indovino aveva in serbo una ultima grande sorpresa per i naviganti.

A pochissimi giorni di distanza dall’inizio delle PROVE SCRITTE aveva infatti, in gran segreto, organizzato un lungo incontro con tutti gli aspiranti uditori (ormai divenuti quasi suoi discepoli) per fare insieme a loro un punto generale della loro situazione mentale e, se possibile, per cercare di dar loro gli ultimi paterni consigli…dopodicchè avrebbe detto loro addio.

Si trattava di un vero e proprio raduno spirituale che doveva avvenire in una sperduta località di montagna, all’interno di un antico monastero; raggiungerla non era facile e ci volevano indicazioni dettagliate per farlo, visto che ci si doveva inerpicare a dorso di mulo su di una mulattiera dissestata.

Non tutti gli aspiranti erano convinti di fare quest’esperienza, soprattutto perché temevano gli spostamenti in quei giorni di fuoco in cui forse sarebbe stato meglio starsene da soli, a finire di ultimare la preparazione ed a cercare di mantenere alta la concentrazione; alla fine comunque praticamente tutti aderirono all’iniziativa e si ritrovarono tutti dinanzi al monastero all’imbrunire.

Ulisse non mancava di certo, convinto com’era sin dall’inizio sulla bontà ed utilità di ogni iniziativa organizzata dall’indovino, ma c’erano anche il prode DIOMEDE e tutti gli altri…di TIRESIA non si poteva a fare a meno proprio nel momento della verità.

L’astuto napoletano li accolse tutti con grande calore ( com’era diverso dal giorno in cui Ulisse lo aveva conosciuto per la prima volta ) e spiegò loro come avrebbero trascorso quei pochi giorni interamente dedicati al Diritto.

Egli avrebbe parlato loro dall’alba al tramonto, senza mai stancarsi, e nelle brevi pause i ragazzi avrebbero dovuto esercitarsi nello svolgimento di tracce più o meno sintetiche; i cibi per i pasti erano stati adeguatamente scelti in modo da fornire energie ai giovani senza appesantirli; i posti per dormire erano stati completamente insonorizzati, per favorire un totale isolamento dal mondo circostante; erano state previste alcune passeggiate tra quei monti incontaminati per ossigenare le delicate menti….nulla insomma era stato lasciato al caso, quasi che si stesse seguendo un antico rituale.

Non appena i naviganti si furono sistemati ed ebbero posato i loro consueti doni votivi, essi si radunarono tutti in un ampio salone al centro del quale vi era una tavola riccamente imbandita.

Dopo che tutti ebbero finito di desinare, TIRESIA, che sedeva al centro della tavola, si alzò in piedi, ma con grande sorpresa di tutti invece di cominciare a parlare diffusamente di Diritto, annunciò l’ingresso di alcuni saltimbanchi i quali inscenarono un gradevole spettacolo che rasserenò gli animi di molti giovani predisponendoli al meglio per il sonno notturno.

Ogni sera fu inscenato uno spettacolo diverso ( certo, nulla a che vedere con Baccanali e Falloforie) poiché l’anziano indovino riteneva, a ragione, che esso servisse a rilassare gli animi dei ragazzi togliendo loro di dosso la stanchezza accumulata durante le molte ore quotidiane di lezione nonché la crescente tensione per l’avvicinarsi delle PROVE; soltanto i soliti, tristi, abitudinari del Diritto non la pensavano così e trascorrevano anche quelle serate curvi sui loro appunti, a ripeterli all’infinito quasi fossero dei breviari…ma Ulisse aveva da tempo rinunciato a comprenderli!

TIRESIA in quei giorni superò se stesso, parlando di Diritto come forse nessun altro sulla faccia della terra era riuscito a fare sino ad allora: era un uomo straordinario, un vero magister vitae et studiorum.

Descrivere compiutamente le mille sensazioni ed i pensieri che passarono per la testa di Ulisse e dei suoi compagni in quei giorni è impresa praticamente impossibile…certe esperienze, per capirle a fondo, bisogna viverle.

Quando fu giunto il momento di abbandonare il ritiro e tornare alle navi diversi giovani furono colti dal panico, e si calmarono solo quando TIRESIA, con la voce quasi rotta dall’emozione, li abbracciò forte uno ad uno, dicendo loro solo un’ultima cosa: “questo viaggio è per voi più di un semplice Concorso….è una scelta di vita, ricordatevelo sempre.Che la forza del dubbio e dell’argomentazione sia sempre con voi e vi illumini il cammino verso le COLONNE D’ERCOLE!”.

Poi svanì nel nulla, lasciando dietro di sé solo l’inconfondibile odore del suo sigaro, al quale ormai tutti ( anche coloro che non lo sopportavano) si erano come assuefatti.

Ulisse tornò lentamente sulla sua nave molto pensieroso e con dentro un senso di solitudine mai provata…aveva perso anche TIRESIA.

Dormì a lungo e si destò con un gran desiderio di fare una lunga nuotata nelle gelide acque mattutine, per ritemprare un po’ il suo fisico duramente provato.

Ormai era inutile continuare a dannarsi ed a studiare fino ad un minuto prima delle PROVE SCRITTE…aveva fatto tutto ciò che poteva, e tutto alla fine sarebbe andato comunque come doveva andare, seguendo gli oscuri disegni del fato.

L’importante era non rilassarsi troppo, non staccare del tutto la spina, ma questo egli non l’avrebbe fatto.

DIOMEDE invece provò ad insistere quasi fino alla fine, ma poi anche lui si arrese di fronte alla grandezza del sapere giuridico, che mai nessuno dei giovani naviganti avrebbe potuto conoscere e padroneggiare completamente in così poco tempo.

Ognuno di essi sarebbe andato incontro al proprio destino, chi più e chi meno serenamente, e dopo niente sarebbe stato più lo stesso.

Prima però c’era da compiere un’ultima, angosciante, fatica: la consegna dei codici presso l’ORACOLO SUPREMO DEI MAGISTRATI.

Tutti gli aspiranti uditori del Paese dovevano infatti presentarsi dinanzi alle COLONNE D’ERCOLE armati solo di penna , cervello e calamaio, senza poter contare su nessun tipo di aiuto esterno (scritto né orale) , altrimenti avrebbero compiuto un autentico sacrilegio.

E per far si che ciò avvenisse nel modo più corretto possibile, senza però privare i naviganti dei loro imprescindibili supporti normativi fondamentali per la redazione dei temi ( e che mai avrebbero potuto ricordare per intero a memoria…nonostante alcune opinioni contrarie nell’OLIMPO) ma che avrebbero potuto essere da essi utilizzati in modo distorto, come contenitori di ulteriori informazioni proibite, era stata escogitata tale procedura.

Le raccolte di leggi di ogni partecipante agli scritti dovevano essere depositate presso l’ORACOLO, le cui devote ancelle avrebbero provveduto ad immergerle nelle sacre acque del fiume STIGE per purificarle e riconsegnarle intonse ai legittimi proprietari direttamente il giorno in cui avrebbero dovuto affrontare la prima tempesta, la prima PROVA SCRITTA.

Nel giorno prestabilito per la consegna Ulisse si presentò quindi di buon mattino nel luogo che gli era stato indicato per compiere tale operazione, portando con se le cinque raccolte normative fondamentali, quelle che aveva sempre utilizzato in ogni esercitazione.

Ma con sua grande sorpresa, giunto nel luogo prestabilito, vide alcuni naviganti andare dall’ORACOLO carichi sotto il peso di decine e decine di codici, così tanti che in alcuni casi c’erano voluti carrelli e schiavi per portarli!

Vi erano alcune raccolte normative dai nomi a volte addirittura buffi (ad es. il codice dello sfratto) ed altre che Ulisse non aveva mai visto prima in vita sua ( ad es. il codice dei lavori pubblici), ma sarebbero davvero servite ai giovani tutte quelle leggi in sede di Concorso?

In realtà esse recavano, in maniera forse più organica ed estesa, le stesse norme di legge presenti sui codici che aveva lui, salvo alcune che senz’altro non erano presenti ma delle quali molto difficilmente avrebbe avuto bisogno ( quando mai gli era servito, prima di allora, il codice tributario od il codice della strada?).

Questi poveri aspiranti uditori particolarmente ansiosi sarebbero stati praticamente sommersi e ricoperti dai loro stessi codici il giorno della PROVA SCRITTA…ma forse era proprio quello che volevano; forse avevano bisogno, per concentrarsi, di erigere intorno a sé un muro ancora più alto ed impenetrabile di quello che già normalmente frapponevano nei confronti dei loro compagni.

Era davvero tragicomico vedere questi giovani, con i loro visi smunti e le loro espressioni ormai assenti, cercare di raggiungere lentamente l’ORACOLO trascinando con fatica ed a strattoni il loro enorme fardello normativo!

Ad Ulisse quest’immagine fece venire in mente quella dei condannati che si muovono verso la loro prigione appesantiti da enormi catene al collo, ai polsi e alle caviglie, e questo pensiero lo fece sorridere di gusto, salvo poi ridiventare serio dopo aver ricevuto alcune occhiatacce da parte di DIOMEDE e di altri suoi compagni.

Ma il suo non era un sorriso di scherno né tanto meno una mancanza di rispetto verso naviganti che vedevano il mondo in maniera diversa da lui; il giovane, da inguaribile ottimista, aveva sempre visto nel Diritto un grande strumento di libertà che avrebbe dovuto aiutare l’uomo nel suo sviluppo individuale e di gruppo, dunque notare che per alcuni esso costituiva un impedimento, un peso, addirittura un mezzo attraverso cui isolarsi dagli altri lo faceva sorridere…tutto qui.

Semmai erano altri naviganti a deriderlo, sotto i baffi e con occhiate d’intesa tra loro, a causa dell’esiguo numero di codici ( nemmeno due in ogni materia, per sicurezza, ne aveva portati, sciagurato!) che aveva con sé; ma ad Ulisse non importava nulla di ciò e sarebbe andato per la sua strada, come aveva sempre fatto.

Svolse rapidamente la sua operazione di consegna all’ ORACOLO e, salutati gli altri, tornò di volata alla nave.

Scrutò l’orizzonte, come faceva ogni sera al tramonto…la tempesta cominciava ad avvicinarsi, altri due o tre giorni al massimo e sarebbe stato nell’occhio del ciclone.

Quei pochi giorni furono interminabili, ed egli li impiegò almeno in parte per ultimare tutti gli ultimi dettagli della preparazione visto che non voleva lasciare niente al caso.

Anche se cercava di distrarsi in realtà finiva sempre col pensare al Diritto, alle PROVE, ai consigli di TIRESIA e non appena aveva un’incertezza correva su testi e appunti a controllare che le sue argomentazioni fossero corrette.

Era dimagrito ( lui che comunque esile non lo era mai stato), anche perché molto spesso cucinare lo tediava e si arrangiava con ciò che trovava; ma non si può dire che fosse sciupato.

La sua espressione lasciava trasparire concentrazione, tensione, preoccupazione, ma non ansia e disperazione.

Sarebbe riuscito a rimanere calmo fino all’ultimo?Ma soprattutto a mantenere calma e sangue freddo durante le PROVE, continuando a mantenere ben saldo il timone nonostante le onde altissime che avrebbero sballottato la sua nave?

Doveva riuscirci, la lucidità era l’unico modo per uscire vittorioso da quell’inferno e di questo era convinto.

Nell’ultimo giorno prima degli scritti non ebbe rapporti con il mondo esterno: non vide nessuno e dalla sua bocca non fuoriuscì nemmeno una parola, una sillaba, un suono.

Era ammutolito, ma in compenso la sua mente era viva più che mai, e pronta a produrre il massimo sforzo che le fosse stato richiesto sino ad allora.

I pensieri di quella giornata furono infiniti, incontrollabili, rapidi più di un fiume in piena: il suo corpo era vuoto, quasi inerte e svolgeva meccanicamente le banali azioni quotidiane, ma con la mente egli era altrove e volò fino a giungere là dove osano solo le aquile, fino a perdersi nell’universo più assoluto.

Quando tornò in sé era già nel suo letto, cullato dal dolce (ancora per poco ) dondolio delle onde, e si sentì stanchissimo come se avesse corso per miglia e miglia, anche se in realtà non si era praticamente mosso da quella polverosa cabina.

Così si addormentò lentamente, senza pensare più a nulla, mentre una beffarda luna piena entrata dalla sua finestrella ondeggiante, giocava dolcemente con lui illuminandogli a tratti il viso ed impedendogli di guardare le sue amate stelle.

Quando giunse l’ora si svegliò da solo, di colpo ma non bruscamente; si vestì e si preparò in silenzio…era ancora molto presto ed il sole era sorto da poco.

Poi sentì la nave sempre più instabile e vide l’acqua incresparsi sotto di essa; in lontananza si stagliavano, fiere e maestose dinanzi a lui, le COLONNE D’ERCOLE.

Era giunto il momento che aspettava da sempre, e lo avrebbe vissuto assaporandone ogni istante, senza perdere neanche un’emozione ; stava per cominciare il Concorso in Magistratura, quello vero.

Nel frattempo erano arrivati tutti gli altri naviganti e i tanti compagni di Ulisse erano tutti accanto a lui cercando di tenersi per mano, mentre il cielo diveniva sempre più cupo ed il vento non era più brezza, ma fortunale.

Ulisse li guardava mentre il vento scompigliava le loro vesti e arruffava i loro capelli.

Guardò a lungo DIOMEDE e sorrise: se era giunto fin lì un po’ lo doveva anche a lui, ai suoi consigli e rimbrotti ( era polemico, ma buono) alle tante costruttive discussioni avute con lui, e sapeva che qualunque cosa gli fosse capitata lo avrebbe rivisto prima o poi.

Pensò a tutti i personaggi, amici o nemici, che aveva incontrato durante il suo lungo cammino…ognuno di essi, dal buffo POLIFEMO all’irato e megalomane NETTUNO, dalle SIRENE SSPL alla seducente ninfa CALIPSO, gli aveva comunque trasmesso qualcosa.

Il viaggio ormai per lui stava comunque volgendo al termine, sentiva che stava per uscire da quel limbo di incertezze che per tanto tempo era stato la sua casa: dopo quegli scritti avrebbe potuto scendere dalla sua nave e far ritorno ad ITACA, da coloro che gli volevano bene veramente, ad aspettare e preparare le eventuali PROVE ORALI oppure a capire cosa davvero avrebbe fatto da grande.

Sarebbe stato pronto ad abbandonare definitivamente il tempo dei sogni ed a tuffarsi nella realtà, senza però mai dimenticare né rinnegare tutto ciò che aveva fatto, detto, pensato e soprattutto imparato durante la sua splendida ODISSEA.

La tempesta stava arrivando, era ormai vicinissima, si stavano sorteggiando le tracce della PROVA, e ad Ulisse parve di scorgere in disparte (ma era solo un’illusione) il viso inconfondibile di TIRESIA, che lo guardava sornione…lui si, non l’avrebbe più incontrato nella sua vita, ma forse era giusto così.

Vicino a lui vide anche quei grandi occhi neri che già tante altre volte aveva incrociato o provato ad incrociare durante la sua navigazione…gli sorrisero dolcemente e capì che forse per lui sarebbe arrivato presto anche il momento di tornare ad innamorarsi e ad amare.

Poi più nulla, solo il fragore delle onde, le tracce, i codici sfogliati in maniera maniacale, belle e brutte copie, complicità ed invidie, parole sussurrate in squallidi bagni, esaltazioni, errori, cancellature, dubbi………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….

A questo punto si è interrotto il mio sogno fatto un po’ di tempo fa, in una notte di mezza estate, prima di una giornata di sole e mare con gli amici; non so perché ma io il Concorso in Magistratura, al quale purtroppo non ancora ho mai partecipato, me lo sono immaginato così, vissuto con tutte le emozioni e sensazioni che ho provato a descrivere.

Purtroppo non mi è dato sapere cosa sia accaduto al giovane Ulisse, se egli abbia superato le prove scritte e poi le prove orali divenendo, una volta raggiunte le COLONNE D’ERCOLE, un Uditore Giudiziario ed infine un valente Magistrato…..così come non so se mai lo diventerò io, che sono e sarò sempre uno fra tanti, un quisque de populo.

Mi sono interrogato spesso sul significato di questa storia che la mia mente ed il mio inconscio hanno creato, e sono giunto alla conclusione che forse davvero c’è stato un tempo in cui il percorso per giungere a divenire Magistrato era irto di insidie e di pericoli( naturali ma anche orditi dall’alto, da DEI dissoluti e avidi di potere), lungo ed avventuroso quasi come una surreale ODISSEA.

Certo, a noi ciò potrà sembrare lontano dalla realtà, visto che in quest’epoca nel nostro Paese le cose sono ben diverse.

Ciò per merito innanzitutto di una università che anzicchè riempire solo le menti di nozioni aiuta i giovani a metterle in pratica, provvedendo dunque già ad indirizzarli verso la professione giuridica che meglio si confà alle loro attitudini ed aspirazioni.

Ma anche di una seria formazione post-lauream, ben definita ed accessibile a tutti i volenterosi e meritevoli( e non lasciata solo agli umilianti clientelismi tipici del praticantato o all’improvvisazione di geniali privati dediti ad istruire le folle in Cinema e teatri), in grado di traghettare serenamente i laureati verso esami di abilitazione forense uguali a quelli di tutte altre le categorie libero-professionali ma soprattutto verso i Concorsi pubblici.

Già, i Concorsi, banditi frequentemente e con criteri di accesso ormai consolidati, oggi sono tutt’altro che gare di resistenza, ad eliminazione, ma costituiscono il giusto mezzo per reclutare i funzionari pubblici tra i quali i Magistrati godono di grande prestigio in quanto difensori della legalità, ma non sono certo visti con terrore o trattati con servilismo e finta adulazione persino dagli stessi avvocati.

Oggi i Magistrati sono tanti, sono uniti e non sono stati isolati e ciò contribuisce a rendere il sistema giudiziario più rapido ma anche più garantista, coerentemente con il principio del giusto processo, anche per merito di leggi sostanziali e processuali attente ed equilibrate, introdotte da governanti che agiscono solo per il perseguimento del supremo bene pubblico.

Nessuno tra noi si sognerebbe mai di deridere un Magistrato e non perché lo teme ma perché lo rispetta.

A nessuno poi verrebbe in mente di mettere in dubbio l’imparzialità della Magistratura ( anche perché da noi l’organo che sovrintende ad essa non è affatto politicizzato), né tanto meno giungeremmo a pensare di perseguirla privando il Potere Giudiziario della sua Indipendenza ed Autonomia, valori per noi tutti sacri ed inviolabili!

Oggi che tutto questo è realtà mi rendo ben conto che queste poche righe fantasiosamente scritte mescolando letteratura, storia, filosofia, mitologia e diritto, potranno apparire strane e forse inutili a coloro che avranno la pazienza di leggerle, strappando loro al massimo qualche sorriso a denti stretti.

Mi auguro comunque che, al di là del loro contenuto, esse riescano a far capire ai giovani di quest’epoca perfetta (ma anche ai meno giovani) che nella vita vale sempre la pena di soffrire e lottare fino in fondo per un sogno quando davvero si crede in esso, e che non è mai sbagliato rischiare di naufragare nell’eterno tentativo di superare le proprie COLONNE D’ERCOLE piuttosto che frustrare le proprie aspirazioni soltanto a causa della paura di mettersi in discussione e di raggiungere le stelle.

IN BOCCA AL LUPO , ASPIRANTI UDITORI GIUDIZIARI !!!



· Con il tacito permesso di Omero e Dante Alighieri, nonché sperando nella comprensione da parte di quanti amano le opere immortali di questi maestri, vere colonne portanti della storia della letteratura.

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* Protagonisti del monumentale “ULISSE” di JAMES JOYCE, romanzo complesso ma affascinante

* Quesito illustrato magistralmente da F. GAZZONI nella terza delle quattro prefazioni intimistiche al suo “MANUALE DI DIRITTO PRIVATO”, opera imprescindibile nella biblioteca di ogni aspirante uditore di ieri e di oggi.

* Ancora F.GAZZONI, che cita BARTHES nelle riflessioni contenute nella prima prefazione al suo “MANUALE”, op. cit.

* Ancora una citazione tratta dalla prima prefazione al Manuale di Diritto privato di F. GAZZONI, cit

* TIROMANCINO, I giorni migliori, dall’album IN CONTINUO MOVIMENTO,2002.

(TRATTO DA http://www.aspirantiuditori.it/)